La parola accattone deriva dal latino volgare accaptare. che è una forma intensiva di captare, che significa “tentare di prendere” o “cogliere” con insistenza, ed era già in uso in epoca medievale. Il prefisso ad- (trasformato in ac- per assimilazione fonetica) intensifica l’idea di “cercare insistentemente di ottenere” qualcosa, come in una costante ricerca di opportunità. Nel passaggio dal latino al volgare, accaptare diventa accattare, che assume un significato legato non solo al raccogliere o procurarsi beni materiali, ma anche a farlo con modalità indirette o insistenti. Nel periodo medievale, accattone si sviluppa come un sostantivo derivato da accattare e identifica una persona che vive di elemosina, “accattando” ciò di cui ha bisogno. Con il tempo, però, emerge una sfumatura disprezzante: l’accattone non è visto solo come povero o bisognoso, ma anche come qualcuno che approfitta della generosità altrui. Nell’Italia medievale, la figura dell’accattone incarna in parte il concetto di emarginato, ma anche quello di una persona che non contribuisce alla società e preferisce vivere a spese degli altri, un atteggiamento visto con sospetto e disgusto. Nel Rinascimento e nei secoli successivi, il termine accattone si carica di connotazioni ancora più negative. Viene percepito come un individuo che vive sfruttando gli altri, evitando il lavoro e mirando esclusivamente al proprio interesse. In questo periodo, si sviluppano nelle città italiane forme di controllo sociale e ordine pubblico più rigide, e la figura dell’accattone rappresenta il lato “pericoloso” e disordinato della società. La parola si associa non solo all’ozio ma anche all’opportunismo e a una mancanza di scrupoli che la rende simile a quella di un sciacallo: qualcuno che approfitta della situazione con mezzi disumani e degradanti per ottenere denaro o favori. Durante il XIX secolo e la modernità, la figura dell’accattone assume una connotazione ancora più ambigua e peggiorativa, in particolare nelle aree urbane industrializzate. Accattone non è più solo il povero che vive di elemosina, ma anche colui che sfrutta le circostanze in modo subdolo e calcolatore. È una figura che si muove nell’ombra, approfittando di chi è vulnerabile o di situazioni delicate, guadagnando un’analogia con lo “sciacallo”, il quale trova profitto nella sofferenza altrui. Nel 1961, Pier Paolo Pasolini produce il film "Accattone", che esplora questa figura in un contesto più umano ma pur sempre spietato: il protagonista è emarginato dalla società e vive sfruttando le poche occasioni, anche se spesso degradanti, che gli si presentano. La figura di accattone diventa, attraverso il film, emblematica non solo di una povertà economica ma anche di una povertà morale e sociale, pur con un certo senso di rassegnazione. Nell’uso contemporaneo, accattone può indicare qualcuno che cerca di ottenere denaro, aiuti o favori senza lavorare o impegnarsi, ma il termine ha anche assunto una sfumatura di “sciacallaggio”, riferendosi a chi cerca guadagno approfittando delle difficoltà altrui con metodi meschini. La parola è usata non solo per indicare il povero, ma chiunque scelga di vivere sfruttando gli altri in modo calcolatore e disumano, evocando una figura che opera senza empatia o rispetto per gli altri, sfruttando le situazioni con metodi spregiudicati e poco dignitosi.
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