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ABBANDONARE, etimologia e significato

Oggi, la parola abbandonare ci fa pensare a gesti come lasciare qualcuno o qualcosa, smettere di occuparsene, o persino lasciarsi andare. Ma la storia di questa parola è molto più antica e ricca: parte dal linguaggio del diritto medievale, passa per il francese antico, si innesta su un termine germanico che indicava un ordine ufficiale, e risale infine a una radice protoindoeuropea legata al “parlare” e al “proclamare” in pubblico. Abbandonare arriva dall’antico francese abandonner, che significava letteralmente “mettere alla mercé di qualcuno” o “lasciare in balìa di qualcosa”. Questo verbo francese, a sua volta, derivava da una locuzione tipica del Medioevo: à bandon. À bandon voleva dire “sotto il potere” o “alla discrezione” di qualcuno. Dire, ad esempio, che un castello era “à bandon” significava che era lasciato senza difesa, aperto all’autorità o alla volontà di chi volesse prenderlo. Quando il francese abandonner passò in italiano, si adattò alla nostra morfologia in abbandonare. Curiosamente, l’“a” iniziale non è il prefisso latino “ab-” che indica allontanamento: è proprio la preposizione “a” della locuzione francese. Però, con il tempo, molti la reinterpretarono come “ab-” e questo spinse a raddoppiare le consonanti (bb, nn), come spesso accade in italiano dopo prefissi come ad-, ab-, ecc. Per capire davvero la parola dobbiamo fermarci su quel bandon. Era un termine del francese medievale che indicava il potere, l’autorità, la giurisdizione, spesso con una sfumatura militare o feudale. Chi aveva un “bandon” su un territorio, aveva il diritto di comandare, punire, proteggere o vietare. Bandon non deriva dal latino classico, ma da una parola germanica: ban. Il germanico ban (da cui il nostro bando) significava “proclamazione ufficiale fatta da un’autorità” — in pratica, un ordine gridato pubblicamente che tutti erano tenuti a rispettare. Questa proclamazione poteva avere due valenze opposte: positiva (convocare, ordinare di presentarsi) o negativa (vietare, mettere al bando, esiliare). 

Ecco quindi il percorso semantico:

Germanico ban = proclamare pubblicamente un ordine.

Dal germanico al latino medievale bannus/bandum = autorità di comando.

In francese antico bandon = potere, autorità, discrezione.

à bandon = alla mercé, sotto il potere di qualcuno.

abandonner = lasciare qualcuno o qualcosa alla mercé di altri → smettere di occuparsene.

abbandonare = lasciare, rinunciare, lasciar andare, anche in senso figurato.

Il germanico ban non è nato dal nulla: deriva da un verbo ricostruito della lingua protogermanica,  *bannaną, che significava “parlare pubblicamente, proclamare, comandare”. Questo a sua volta viene fatto risalire a una radice protoindoeuropea molto antica, *bʰeh₂-, che significa “parlare, dire a voce alta” (in sanscrito, bhánati = egli parla).

Ricapitolando, gli usi  della parola abbandonare nel tempo:

Medioevo: senso giuridico forte — “mettere in balìa” (di un’autorità, di un nemico, ecc.).

Letteratura: in Dante, per esempio, “abbandonare” conserva la forza dell’originale (“m’abbandona” = “mi lascia senza aiuto”).

Oggi: prevalgono i sensi più generici (“lasciare”, “rinunciare”, “lasciarsi andare”), ma in ambito legale si trova ancora l’uso tecnico: “abbandono dei beni”, “abbandono dell’azione”.

Abbandonare

APOSIOPESI, etimologia e significato

L'aposiopesi  è una figura retorica autentica consistente nell'interruzione inaspettata di una frase, come se l'enunciante non fosse in grado o non volesse continuare a parlare, conferendo una forza espressiva molto potente. Questa interruzione, lasciando sulla mente dell'ascoltatore l'immaginazione della conclusione mancata, si rivela molto utile per esprimere empatia intensa ovvero per indicare senso non dichiarato. A volte l'aposiopesi si presenta anche come una pausa tattica antecedente a un cambio di soggetto. Come figura retorica, l'aposiopesi  si colloca all'interno dell'ambito dell'arte retorica del discorso persuasivo, ed il suo esame esige una ricercata indagine delle sue origini etimologiche.

La parola "aposiopesi" deriva dall'antico greco ἀποσιώπησις (aposiṓpēsis). La derivazione viene confermata da numerose fonti lessicografiche. Rilevando la parola greca ἀποσιώπησις, si possono isolare due elementi primari: ἀπό (apó) e σιωπάω (siōpáō) la cui unione significava "essere silenzioso" ovvero "diventare silenzioso". La componente āπό si traduce letteralmente "via da", "da" ovvero "fuori da" ed indica allontanarsi ovvero distanziarsi dall'altro elemento rispetto a sé in quanto elementi separanti tra loro. Invece σιωπάω si riferisce a "tacere", ovvero "essere in silenzio". A questi si aggiunge il suffisso greco -σις (-sis), che contribuisce a costituire il sostantivo degli elementi anzidetti.

La concordanza sul significato di ἀπό come separazione e di σιωπάω come verbo del silenzio suggerisce che l’aposiopesi implichi intrinsecamente una cessazione deliberata o un distacco dal discorso. Dal punto di vista etimologico, ἀπό deriva dal proto-ellenico apó, a sua volta dalla radice protoindoeuropea h₂epó, che significava “via, lontano”. Le molteplici accezioni di ἀπό suggeriscono in aposiopesi possa indicare non solo l’interruzione del discorso, ma anche una separazione da un argomento, l’origine di un pensiero segnato dal silenzio, o persino un senso di compiutezza di ciò che viene taciuto. La diffusione dei derivati da h₂epó nei diversi rami indoeuropei testimonia un concetto fondamentale di “allontanamento” già presente nella protolingua, confermando l’antichità di questo elemento linguistico. Il verbo greco σιωπάω (siōpáō) significa “tacere”, “mantenere il silenzio”, “stare quieto”.  Nei testi classici, il verbo veniva utilizzato anche per mantenere un segreto. σιωπάω deriva da σιωπή, che significa “silenzio”, “calma”. La doppia natura di σιωπάω, che include sia il silenzio letterale sia una calma metaforica, suggerisce che l’aposiopesi possa implicare un’interruzione deliberata del discorso per ottenere un effetto, non semplicemente per incapacità di proseguire. L’uso classico connesso alla segretezza introduce l’idea di una possibile strategia nell’uso dell’aposiopesi: omettere qualcosa volutamente. È interessante notare che l’etimologia di σιωπή è incerta. Diverse fonti indicano un’origine non indoeuropea, probabilmente da un sostrato pre-greco, evidenziata dall’alternanza delle forme σιωπ- e σωπ-. Il linguista Robert Beekes ha sostenuto con decisione questa origine, individuando molte acquisizioni di lemmi pre-greci nel vocabolario greco. Una teoria alternativa, proposta da Abarim Publications, ipotizza un’origine semitica per σιωπή, collegandola a radici ebraiche legate alla separazione e alla fine (ספף שפף) o alla quiete (חרש, דמם). 

L’uso dell’aposiopesi si manifesta non solo nell’oratoria, ma anche nella letteratura, nei film ed anche nelle conversazioni quotidiane. A livello letterario, autori classici come Shakespeare, Dante ed il Manzoni hanno utilizzato questa figura per trasmettere tensione emotiva o per indicare l’indicibile. Per quanto in materia di film, la brusca sospensione del dialogo può enfatizzare la drammaticità di una scena ovvero rivelare lo stato di spirito di un personaggio. Anche nelle conversazioni quotidiane, la frase lasciate a metà possono esprimere rabbia, sorpresa, la paura ovvero l’imbarazzo rendendo l’aposiopesi strumento di comunicazione immediata e universalmente comprensibile. La linguistica moderna continua a riconoscere l'aposiopesi come uno strumento retorico rilevante. La ricerca contemporanea si concentra sul suo ruolo sfumato nella comunicazione, inclusa la sua capacità di trasmettere significati impliciti e coinvolgere l'immaginazione del pubblico. 

Aposiopesi

ARCHIVIO, etimologia e significato

La parola archivio ha origine nel greco antico ἀρχεῖον (arkheion), che indicava l'edificio pubblico o la sede dove risiedevano gli arconti (ἄρχοντες), ovvero le massime autorità cittadine ad Atene. Gli arconti erano figure chiave nella vita pubblica greca, responsabili di diverse funzioni giudiziarie e amministrative. Essendo tali figure legate all'autorità e all'ordine, l’arkheion era quindi un luogo di rilevanza sociale, dove venivano custoditi documenti fondamentali della polis. 
L'etimologia della parola archivio è collegata a arché (ἀρχή), una radice che significa "principio", "origine", ma anche "potere" o "autorità". Questa radice la troviamo anche in altri termini come "monarchia" o "anarchia"che riflettono la centralità dell'autorità e del comando. L'idea che l’"arkheion" fosse un luogo in cui si conservavano documenti relativi all’autorità e alla giustizia fu dunque un primo, potente simbolo del concetto di archivio come luogo di preservazione della memoria e della legalità pubblica.
Quando la cultura greca entrò in contatto con quella romana, il termine venne adattato in latino come archīvum, riferendosi in modo più ampio al luogo o all’istituzione che deteneva gli atti ufficiali di uno Stato. Nel diritto romano, i concetti di documentazione e registrazione erano altamente sviluppati, e le istituzioni si affidavano a un sistema di archiviazione per conservare documenti legali, atti notarili, censimenti e scritture finanziarie. Gli archivi romani divennero luoghi di preservazione della "res publica" (la cosa pubblica), garantendo così una continuità e stabilità amministrativa e storica per lo Stato. È importante notare che in epoca romana gli archivi assumevano un significato di "strumento di potere" che legittimava i diritti e le leggi. Gli archivi non solo raccoglievano documenti ma detenevano una funzione cruciale: la documentazione diveniva una forma di memoria e di ordine sociale. Questo uso sistematico di conservazione portò a vedere l’archivio come "testimone" della verità legale e storica, un aspetto che lo differenziava dalle semplici collezioni o raccolte di materiali.
Nel Medioevo, il termine archivio si diffuse in Europa in ambienti istituzionali come la Chiesa, i monasteri e le corti feudali. L’amministrazione medievale sviluppò archivi per conservare documenti relativi a proprietà terriere, atti di donazione, privilegi concessi dalla Chiesa e dallo Stato, e altri testi giuridici fondamentali per la gestione e la conservazione del potere. In questo periodo, gli archivi non erano luoghi pubblici; spesso erano custoditi in aree protette, riservate a pochi membri della comunità o del clero. Il concetto di "archivio segreto" si consolidò, poiché il controllo sull'informazione significava anche controllo sul potere. In effetti, i documenti conservati in un archivio medievale erano visti come prove di legittimità e titoli di diritto; per esempio, un atto di concessione di terreni poteva determinare il destino di interi villaggi. Il contenuto degli archivi divenne così prezioso e sacro, spesso protetto da sigilli, catene e limitazioni di accesso. 
Con il Rinascimento, la riscoperta dell’antichità classica portò una nuova valorizzazione dei documenti storici. Gli umanisti iniziarono a consultare archivi per studiare la storia e raccogliere testimonianze documentarie. Gli archivi medievali, che fino ad allora erano stati inaccessibili, divennero quindi risorse per studiosi e intellettuali che cercavano di ricostruire il passato. Questo interesse portò alla nascita della storiografia e influì sullo sviluppo degli archivi pubblici.
Durante l’Illuminismo, l’idea di "archivio" si estese ulteriormente, andando oltre il valore politico o giuridico per diventare una risorsa culturale e scientifica. Gli archivi cominciarono ad essere accessibili a studiosi e, in qualche misura, alla popolazione, come luoghi di memoria collettiva. L'accesso agli archivi era visto come un diritto, legato al principio illuministico della trasparenza del governo e della conoscenza pubblica. Gli archivi iniziarono a essere considerati come "patrimonio dell’umanità", una funzione che ha influenzato la loro organizzazione e conservazione.
Nell’epoca contemporanea, la parola "archivio" ha continuato ad espandersi, adattandosi ai bisogni tecnologici e sociali. L'archivio è diventato non solo uno spazio fisico ma anche uno "spazio concettuale" o "virtuale", dove raccogliere dati e informazioni. Con l’avvento dell’informatica, l'archivio ha subito una rivoluzione: è diventato una struttura digitale che non solo permette di conservare informazioni, ma di distribuirle e di consultarle in maniera accessibile e globale. Il concetto di archivio digitale ha ampliato la funzione dell’archivio, rendendolo un’estensione della memoria collettiva a livello globale.
Archivio

ACCATTONE, etimologia e significato

La parola accattone deriva dal latino volgare accaptare. che è una forma intensiva di captare, che significa “tentare di prendere” o “cogliere” con insistenza, ed era già in uso in epoca medievale. Il prefisso ad- (trasformato in ac- per assimilazione fonetica) intensifica l’idea di “cercare insistentemente di ottenere” qualcosa, come in una costante ricerca di opportunità. Nel passaggio dal latino al volgare, accaptare diventa accattare, che assume un significato legato non solo al raccogliere o procurarsi beni materiali, ma anche a farlo con modalità indirette o insistenti. Nel periodo medievale, accattone si sviluppa come un sostantivo derivato da accattare e identifica una persona che vive di elemosina, “accattando” ciò di cui ha bisogno. Con il tempo, però, emerge una sfumatura disprezzante: l’accattone non è visto solo come povero o bisognoso, ma anche come qualcuno che approfitta della generosità altrui. Nell’Italia medievale, la figura dell’accattone incarna in parte il concetto di emarginato, ma anche quello di una persona che non contribuisce alla società e preferisce vivere a spese degli altri, un atteggiamento visto con sospetto e disgusto. Nel Rinascimento e nei secoli successivi, il termine accattone si carica di connotazioni ancora più negative. Viene percepito come un individuo che vive sfruttando gli altri, evitando il lavoro e mirando esclusivamente al proprio interesse. In questo periodo, si sviluppano nelle città italiane forme di controllo sociale e ordine pubblico più rigide, e la figura dell’accattone rappresenta il lato “pericoloso” e disordinato della società. La parola si associa non solo all’ozio ma anche all’opportunismo e a una mancanza di scrupoli che la rende simile a quella di un sciacallo: qualcuno che approfitta della situazione con mezzi disumani e degradanti per ottenere denaro o favori. Durante il XIX secolo e la modernità, la figura dell’accattone assume una connotazione ancora più ambigua e peggiorativa, in particolare nelle aree urbane industrializzate. Accattone non è più solo il povero che vive di elemosina, ma anche colui che sfrutta le circostanze in modo subdolo e calcolatore. È una figura che si muove nell’ombra, approfittando di chi è vulnerabile o di situazioni delicate, guadagnando un’analogia con lo “sciacallo”, il quale trova profitto nella sofferenza altrui. Nel 1961, Pier Paolo Pasolini produce il film "Accattone", che esplora questa figura in un contesto più umano ma pur sempre spietato: il protagonista è emarginato dalla società e vive sfruttando le poche occasioni, anche se spesso degradanti, che gli si presentano. La figura di accattone diventa, attraverso il film, emblematica non solo di una povertà economica ma anche di una povertà morale e sociale, pur con un certo senso di rassegnazione. Nell’uso contemporaneo, accattone può indicare qualcuno che cerca di ottenere denaro, aiuti o favori senza lavorare o impegnarsi, ma il termine ha anche assunto una sfumatura di “sciacallaggio”, riferendosi a chi cerca guadagno approfittando delle difficoltà altrui con metodi meschini. La parola è usata non solo per indicare il povero, ma chiunque scelga di vivere sfruttando gli altri in modo calcolatore e disumano, evocando una figura che opera senza empatia o rispetto per gli altri, sfruttando le situazioni con metodi spregiudicati e poco dignitosi.

L'accattone

ACCADEMIA, etimologia e significato

La parola accademia proviene dal greco Ἀκαδημία (Akadēmía), il nome di un giardino o di un parco situato alla periferia di Atene, dedicato all’eroe mitologico Ἀκάδημος (Acàdemo), - che secondo la leggenda, rivelò ai fratelli Dioscuri, Castore e Polluce, il luogo dove era tenuta nascosta la loro sorella Elena, rapita da Teseo quando era ancora bambina - e divenuto celebre per essere il luogo dove il filosofo Platone fondò la sua scuola nel 387 a.C. Platone e i suoi seguaci si riunivano in questo luogo per discutere di filosofia, matematica, politica e scienze, dando vita a una tradizione di insegnamento e di apprendimento destinata a influenzare profondamente la cultura occidentale. Da qui deriva il nome di Accademia per descrivere non solo l'istituzione platonica, ma anche, per estensione, qualsiasi luogo o gruppo in cui si praticassero studi di alto livello. In seguito, con la diffusione della filosofia e delle scienze nel mondo ellenistico e romano, il termine academia cominciò a designare scuole, società e luoghi dedicati alla cultura e all’insegnamento. Da qui, l'origine latina della parola in "academia" è passata nell’italiano medievale come accademia, assumendo significati che si sono arricchiti e ampliati nel corso dei secoli. Con il Rinascimento, l’Italia assistette a una rinascita dell’uso del termine accademia, che divenne sinonimo di circoli culturali e letterari. Le prime accademie rinascimentali, come l'Accademia Platonica di Firenze, fondata da Marsilio Ficino, si ispirarono al modello di Platone e si dedicarono alla promozione delle arti, delle scienze e della filosofia. Durante il Rinascimento, l'Accademia non era solo un'istituzione formale, ma un luogo di discussione e di diffusione del sapere in cui letterati, scienziati, artisti e filosofi si incontravano per discutere e scambiare idee. Dal XVII secolo, con la fondazione di istituzioni come l'Accademia dei Lincei (fondata a Roma nel 1603) e l'Accademia Francese (fondata nel 1635), la parola accademia ha iniziato ad acquisire un significato più formale. Queste accademie erano organizzazioni ufficiali, a volte finanziate dai governi, dedicate allo studio e alla promozione delle scienze, delle arti e delle lettere. In questo contesto, l’accademia è diventata un’istituzione ufficiale e permanente, caratterizzata da un organico fisso e da un regolamento che ne disciplinava le attività. Nel corso del XVIII e XIX secolo, il termine accademia iniziò a essere usato anche per descrivere istituzioni educative superiori, soprattutto nell’ambito delle arti e delle scienze militari. In Italia e in molti altri paesi, la parola accademia è associata a istituti di alta formazione artistica, come l'Accademia di Belle Arti, e militare, come l'Accademia Militare di Modena, dove vengono istruiti ufficiali e cadetti. Accademia nella lingua italiana moderna: Oggi, la parola accademia è presente nel linguaggio comune con vari significati, che spaziano dalle istituzioni educative alle associazioni culturali. La parola evoca uno spazio di apprendimento e di scambio intellettuale, ma è anche associata alla formalità, alla ricerca e all'alto livello di conoscenza. 
Nell’italiano contemporaneo, la parola accademia ha diversi significati e applicazioni:
  • Istituzione educativa superiore: In questo contesto, accademia si riferisce a una scuola o a un’università che fornisce un’istruzione avanzata in un determinato campo. Le accademie di belle arti, ad esempio, sono istituti specializzati nella formazione artistica, mentre le accademie militari offrono una formazione tecnica e pratica per coloro che intraprendono una carriera nelle forze armate.
  • Associazione culturale o artistica: In Italia, esistono molte accademie culturali che promuovono le arti, le lettere e le scienze. Queste accademie sono spesso composte da studiosi, artisti e scrittori che si riuniscono per discutere, studiare e promuovere il sapere nelle rispettive discipline. L'Accademia della Crusca, ad esempio, è l'istituzione italiana incaricata di custodire la lingua italiana, curandone la normativa e la lessicografia.
  • Luogo di studio o di approfondimento: La parola accademia viene talvolta utilizzata per indicare un luogo di studio specializzato, come un'accademia di danza, di musica o di teatro. In questi contesti, l'accademia è concepita come un luogo dove i partecipanti ricevono una formazione specifica e intensa in una determinata arte o abilità.
  • Atteggiamento “accademico” o eccessivamente formale: Nella lingua italiana, l'aggettivo accademico può assumere anche una connotazione critica. Definire qualcosa come accademico può implicare una certa rigidità o formalismo, oppure una distanza dalla realtà pratica. Questo uso riflette una visione dell'accademia come ambiente a volte chiuso in sé stesso e troppo concentrato sulle teorie a discapito della pratica.
La parola accademia è anche utilizzata in varie espressioni idiomatiche e locuzioni:
  • Fare accademia: Questa espressione significa dedicarsi a discussioni teoriche, spesso inutili o poco pratiche. Ha una connotazione critica, suggerendo una perdita di tempo in discussioni troppo astratte.
  • Accademico (usato come aggettivo): Può significare sia "relativo all'accademia" sia "teorico" o "privo di applicazioni pratiche". Ad esempio, una questione accademica può essere una questione priva di rilevanza pratica, solo teorica.
  • Vita accademica: Si riferisce alla carriera e alle attività svolte all'interno di un’istituzione di ricerca e insegnamento, come un’università o un’accademia.
Le accademie continuano a rappresentare centri di diffusione del sapere, preservando e promuovendo la cultura. Oltre al loro ruolo educativo, accademie come l'Accademia dei Lincei e l'Accademia della Crusca svolgono un ruolo importante nella conservazione del patrimonio culturale italiano. Tuttavia, la percezione pubblica delle accademie come luoghi a volte distanti dalle esigenze pratiche della società e dell'economia ha contribuito a un dibattito sul loro ruolo nella società moderna. 
Negli ultimi anni, molte accademie hanno adottato un approccio più interdisciplinare e pratico, cercando di rispondere alle esigenze della società contemporanea e di rendere accessibile la cultura accademica al grande pubblico. Le accademie stanno cercando di superare la percezione di "torri d'avorio" distaccate dalla realtà e si stanno orientando verso un’apertura al confronto e alla collaborazione con il mondo esterno, mantenendo tuttavia la tradizione di eccellenza e di rigore intellettuale.
La scuola di Atene (Raffaello Sanzio)

ANANCASTICO, etimologia e significato

Il termine anancastico proviene dal greco antico ἀνάγκη (anánkē), che significa necessità o costrizione. Il suffisso -ico è tipico della formazione di aggettivi in lingua italiana, e deriva dal greco "-ικός, che a sua volta era utilizzato per formare aggettivi che indicavano appartenenza o relazione. Il termine greco "ἀνάγκη" ha radici molto antiche nel linguaggio e nella cultura greca. Era associato a concetti di fato o forza ineluttabile, connessa alla costrizione naturale o divina cui gli uomini non potevano sottrarsi. Nella mitologia greca, Ananke era la personificazione della necessità e del destino inevitabile. In ambito psicologico e psichiatrico, il termine anancastico è usato per indicare un tipo di personalità o comportamento caratterizzato da un forte senso di obbligo, ossessione o compulsione a compiere determinate azioni, anche contro la propria volontà. Viene spesso utilizzato nel contesto dei disturbi ossessivo-compulsivi (OCD), dove i pazienti sperimentano un irresistibile impulso a compiere certi atti o pensare determinati pensieri per alleviare l'ansia. In psicopatologia, una personalità anancastica è tipicamente descritta come ossessiva, perfezionista, estremamente attenta ai dettagli e alle regole, e incapace di gestire situazioni in cui sente di non avere il controllo. Nel linguaggio comune, il termine non è di uso frequente, ma in ambito clinico e specialistico si trova spesso per descrivere sintomi ossessivi-compulsivi. Ad esempio, il disturbo di personalità anancastico è una condizione riconosciuta nei manuali diagnostici di psichiatria, come il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders). L'uso del termine in ambito psichiatrico è anche collegato a una comprensione più ampia del concetto di compulsione, connesso alla necessità di alleviare l'ansia. 

Anancasmo

ALGORITMO, etimologia e significato

La parola algoritmo deriva dal nome di un famoso matematico arabo del IX secolo, Al-Khwārizmī. Il suo nome è stato latinizzato in Algoritmi. Successivamente, è diventato "Algoritmo" nella lingua italiana. Al-Khwārizmī era uno studioso poliedrico che ha lasciato un'impronta indelebile nella storia della matematica e dell'astronomia. Nel suo libro "Al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-jabr wal-muqābala" (Il compendio di calcolo per completamento e bilanciamento), ha introdotto l'uso dei numeri decimali e ha sviluppato metodi algebrici per risolvere equazioni. La parola al-jabr nel titolo del suo libro è l'origine del termine "algebra". Ma è stata la sua opera che ha dato origine alla parola "algoritmo". Nel suo libro, Al-Khwārizmī ha presentato una serie di istruzioni dettagliate per risolvere equazioni attraverso un processo di bilanciamento e completamento. Questi metodi di calcolo dettagliati sono diventati noti come "gli algoritmi di Al-Khwārizmī". Gli algoritmi di Al-Khwārizmī hanno dato un contributo fondamentale alla matematica e hanno influenzato lo sviluppo dell'aritmetica e della geometria. La sua opera è stata tradotta in varie lingue e ha avuto un impatto importante in ambito matematico. L'importanza degli algoritmi non si è limitata solo alla matematica. Nel corso dei secoli, gli algoritmi sono stati applicati in diversi campi come la crittografia, la logistica, l'intelligenza artificiale e molti altri settori. Gli algoritmi sono diventati un fondamento essenziale per la programmazione informatica. Le istruzioni dettagliate e sequenziali che compongono un algoritmo sono la base per lo sviluppo di software e applicazioni che utilizziamo quotidianamente. 

Muḥammad ibn Mūsā al-Khwārizmī


ANFITRIONE, etimologia e significato

L'origine della parola anfitrione risale alla mitologia greca: infatti, Anfitrione era un personaggio della mitologia greca, noto per essere stato il marito di Alcmena, madre di Eracle (Hercules). Secondo il mito, Zeus si trasformò in Anfitrione per unirsi ad Alcmena mentre il vero Anfitrione era lontano in guerra. Questo evento mitologico ha dato origine all'uso del termine "anfitrione" per indicare un ospite o un padrone di casa. Dal punto di vista strettamente etimologico, il termine anfitrione deriva dal greco antico Ἀμφιτρύων (Amphitryon), composto da αμφί (amphi) che significa intorno e τρύω (tryo) che significa nutrirsi o alimentarsi. Quindi, letteralmente il significato originario deve intendersi come "colui che nutre o si prende cura degli ospiti intorno a sé". Ciò richiama l'idea di una persona che accoglie gli altri nella propria casa e si prende cura di loro, fornendo loro cibo, alloggio e ospitalità. Nel corso dei secoli, il termine "anfitrione" è stato adottato in molte lingue europee con significati simili. Ad esempio, in italiano, francese e spagnolo, la parola anfitrione mantiene il suo significato originale di "padrone di casa" o "ospite". In inglese, il termine "host" (usato per indicare un ospite o un padrone di casa) può essere considerato un equivalente moderno di "anfitrione". Tuttavia, il significato di "anfitrione" non si limita solo all'ospitalità e all'accoglienza, ma si estende in ulteriori ambiti: nel contesto della medicina, la parola "anfitrione" è stata utilizzata per descrivere un organismo ospite che ospita o nutre un parassita o un agente patogeno basandosi sull'idea che l'organismo ospite fornisce un ambiente favorevole per la sopravvivenza e la proliferazione del parassita o dell'agente patogeno; nel contesto teatrale, il termine "anfitrione" è stato utilizzato per riferirsi a un personaggio principale in una commedia o a un ospite d'onore che viene celebrato in un'occasione speciale, richiamando l'idea di un individuo che assume un ruolo centrale o di spicco in una situazione sociale o culturale. In campo tecnologico, il concetto di anfitrione si è esteso anche al mondo digitale, con l'avvento dei social media e delle piattaforme di condivisione di contenuti: gli anfitrioni di eventi online, ad esempio, organizzano e conducono webinar, podcast o video in diretta, offrendo un'esperienza coinvolgente ai loro spettatori. i virtuali. Nel contesto dell'intrattenimento, l'anfitrione è colui che presiede un evento o uno spettacolo, guidando e presentando gli altri partecipanti; nell'ambito delle relazioni diplomatiche, l'anfitrione rappresenta il paese che ospita una conferenza, un summit o un incontro ufficiale. Le espressioni idiomatiche con la parola anfitrione rappresentano un utilizzo figurato del termine, andando oltre il suo significato letterale. Queste espressioni possono essere rintracciate nella lingua italiana e mostrano l'influenza culturale e popolare del termine: ad esempio, l'espressione "essere l'Anfitrione" indica il ruolo di ospitante o padrone di casa, mentre "fare l'Anfitrione" si riferisce a chi organizza e accoglie gli ospiti in modo cordiale. Allo stesso modo, l'espressione "essere l'Anfitrione del proprio destino" si riferisce alla capacità di prendere in mano il proprio futuro. Tali espressioni illustrano come il termine "Anfitrione" sia entrato nel linguaggio quotidiano, rappresentando, per antonomasia, un ruolo di ospitalità, accoglienza e comando.

Anfitrione in un affresco di Ercolano

ALLEGORIA, etimologia e significato

La parola allegoria deriva dal tardo latino allegorĭa, a sua volta proveniente dal greco ἀλληγορία (allegoria), composto da ἄλλος (allos) = altro e da ἀγορεύω (agoreuo)  = parlare

Differenze tra allegoria e metafora/simbolo

<< Rispetto alla metafora:

Nell'allegoria, come nella metafora, vi è la sostituzione di un oggetto ad un altro ma, a differenza di quella, l’allegoria non si basa sul piano emotivo, bensì richiede un'interpretazione razionale di ciò che sottintende. Essa opera quindi su un piano superiore rispetto al visibile e al primo significato: spesso l'allegoria si appoggia a convenzioni di livello filosofico o metafisico.

Rispetto al simbolo:

L'interpretazione del simbolo è intuitiva, mentre quella dell'allegoria comporta uno sforzo intellettuale. >>     

(Il testo virgolettato <<........>> è tratto da:   https://it.wikipedia.org/wiki/Allegoria).

Già nell'antica Grecia il termine indicava una forma espressiva consistente nell'allusione ad un significato ulteriore, più profondo e simbolico, attraverso l'uso di metafore, simboli e personificazioni. Una delle prime teorizzazioni dell'allegoria si deve a Filone di Alessandria (I-II sec. d.C.). Nell'italiano medievale e rinascimentale l'allegoria era una tecnica letteraria diffusa, soprattutto nella rappresentazione di concetti morali e religiosi in forma figurata: tant'è che divenne una forma espressiva centrale anche nelle arti figurative, ad esempio nella rappresentazione di vizi e virtù in pittura e scultura. Dal Settecento, con l’affermarsi della cultura illuminista, l’allegoria perse progressivamente importanza come strumento interpretativo, assumendo una connotazione di artifizio retorico. Con l'avvento del Romanticismo l'allegoria conobbe una rivalutazione come veicolo di significati universali attraverso il simbolo. In epoca contemporanea, la psicoanalisi ha recuperato la dimensione allegorica nei sogni e nell'inconscio, come via per esprimere contenuti rimossi.

Esempi celebri di opere letterarie di tutti i tempi e di tutti i luoghi, incentrate sull'allegoria:

Molte favole di Esopo ed Fedro hanno un significato allegorico e morale, come la cicala e la formica;

La Divina Commedia di Dante, dove il viaggio ultraterreno simbolizza il percorso di redenzione dell'umanità;

La commedia "Il cavaliere della triste figura" di Cervantes, in cui Don Chisciotte rappresenta allegoricamente l'ideale cavalleresco in contrasto con la realtà;

"I viaggi di Gulliver" di Swift, con i vari popoli come allegoria dei vizi e delle virtù della società inglese del tempo;

"La fattoria degli animali" di Orwell, allegoria del totalitarismo e della rivoluzione tradita attraverso le vicende di una fattoria;

"La peste" di Camus, che usa l'epidemia come allegoria del nazismo e dell'occupazione nazista in Francia.

"Il signore delle mosche" di Golding, con i ragazzi naufraghi che rappresentano la degenerazione della natura umana.

Oggi il termine viene usato più genericamente per indicare qualsiasi significato simbolico nascosto dietro immagini, narrazioni, eventi, indipendentemente dall'intenzionalità dell'autore. Mantiene però l'accezione principale di espediente retorico-letterario.

 Valentin de Boulogne, Allegoria dell’Italia, 1628-29

AFORISMA

L'etimologia della parola "aforisma" deriva dal termine greco antico "ἀφορισμός" (aphorismós), che a sua volta ha radici nel verbo "ἀφορίζειν" (aphorízein). Quest'ultimo verbo è composto da due elementi: "ἀπό" (apó), che significa "da" e "ὁρίζειν" (horízein), che significa "separare" o "distinguere". Quindi, "ἀφορίζειν" (aphorízein) implica l'atto di separare o distinguere qualcosa da qualcos'altro. Il termine "ἀφορισμός" (aphorismós) è stato utilizzato in diversi contesti nel mondo antico, ma è stato principalmente associato al campo della medicina e alla filosofia. Nella medicina, il famoso medico greco Ippocrate (circa 460-370 a.C.) ha scritto una serie di opere, tra cui l'opera chiamata "Aforismi di Ippocrate" (Ἰπποκράτους Ἀφορισμοί, Ippokrátous Aphorismoi),  una raccolta di brevi sentenze che esprimevano principi e insegnamenti medici. Questi aforismi rappresentavano sinteticamente le sue osservazioni e le sue esperienze nel campo della medicina. Nel contesto filosofico, l'uso del termine "aforisma" è stato associato a pensatori come Eraclito e Pitagora. Eraclito, un filosofo pre-socratico, era noto per le sue affermazioni concise e criptiche che esprimevano la sua concezione del mondo in modo enigmatico. I suoi aforismi erano frasi brevi e taglienti che esprimevano il suo pensiero profondo e provocatorio. Inoltre, Pitagora, il filosofo e matematico greco antico, utilizzava anche aforismi per comunicare i suoi insegnamenti. Le sue massime erano concise, memorabili e spesso contenevano una verità universale. Nel corso dei secoli, il termine "aforisma" è stato adottato nella letteratura e nell'arte come una forma di espressione breve ma significativa. Gli aforismi sono diventati una forma di comunicazione che sintetizza saggezza, intuizioni o osservazioni profonde in una singola frase. Sono spesso utilizzati per catturare un'idea complessa in modo conciso ed efficace. Il concetto di separazione o distinzione, già sopra accennato, si è evoluto nel significato moderno di un'asserzione breve e incisiva che comunica saggezza o verità. Gli aforismi sono diventati un genere letterario a sé stante, con molti autori famosi che hanno scritto raccolte di aforismi. Tra gli esempi più noti vi sono i "Pensieri" di Blaise Pascal, le "Massime" di François de La Rochefoucauld e i "Maximes" di François de La Bruyère. Queste opere contengono una serie di aforismi che esplorano vari aspetti della vita, della morale e della società. È interessante notare che la natura stessa degli aforismi, con la loro brevità e la loro capacità di condensare concetti complessi in poche parole, riflette l'essenza stessa della parola "aforisma". Il termine stesso suggerisce un atto di separazione o distinzione, che avviene quando si estrae e si definisce un'idea essenziale o una verità fondamentale dalla massa di informazioni o concetti circostanti. 

Ἰπποκράτους Ἀφορισμοί (Aforismi di Ippocrate)

ALDO

L'etimologia del nome Aldo è da ricondurre all'antico germanico. Vi sono però varie interpretazioni etimologiche. Di seguito, le più accreditate:        

  1. Dalla  radice ald- = vecchio o, in senso lato, esperto, saggio (vedi l'inglese old);
  2. Dall'antico germanico adal o (athal) = nobile;
  3. Dall'antico germanico wald = potente, forte (vedi l'antico germanico waldan = comandare);
  4. Dal celtico althos = bello, avvenente.
  5. Dal germanico aldio = semilibero che indicava tra i Germani  chi si trovava nella posizione sociale fra servo e liberto.
Alcuni studiosi sostengono che il nome Aldo costituisca un "ipocoristico" di altri nomi comincianti con la radice ald-, (questi termini sono molto comuni nell'onomastica d'origine germanica e spesso si confondono l'uno con l'altro, ad esempio in nomi quali Aldighiero, Aldobrando e Aldovino). 
Il nome Aldo venne portato dai popoli germanici dell'Europa settentrionale e centrale, come i Longobardi, i Goti e i Franchi. Nel corso dei secoli, il nome si diffuse in altre parti del mondo grazie all'influenza della cultura germanica e alla cristianizzazione. In Italia, il nome Aldo divenne particolarmente popolare a partire dal XIX secolo, grazie alla popolarità dell'opera lirica "La Gioconda" di Amilcare Ponchielli, in cui uno dei personaggi principali si chiama Aldo. L'opera riscosse un grande successo in Italia e all'estero, portando alla diffusione del nome Aldo soprattutto nelle regioni del Nord Italia, come la Lombardia, il Veneto e il Piemonte. Il nome Aldo è stato portato da diverse personalità di spicco nella storia e nella cultura. Tra i personaggi italiani famosi con questo nome si possono citare:
  • Aldo Fabrizi, attore, regista, sceneggiatore, produttore e poeta ;
  • Aldo Giuffré, attore, comico e doppiatore ;
  • Aldo Grasso, giornalista, critico televisivo e docente;
  • Aldo Moro, politico e accademico;
  • Aldo Palazzeschi, scrittore e poeta;
  • Alda Merini, poetessa, aforista e scrittrice;
L'onomastico si festeggia il 10 gennaio in ricordo di sant'Aldo, eremita a Carbonara al Ticino. Per il femminile, Alda o Aldina, si può festeggiare invece il 26 aprile, ricorrenza della beata Alda di Siena, 

La poetessa e scrittrice Alda Merini

ANARCHIA

La parola "anarchia" deriva dal greco antico "αναρχία" (anarkhia), composta da "an" (privativo) e "arkhos" (governante, capo, principe), che significa letteralmente "senza governo" o "assenza di autorità". L'anarchia è un'ideologia politica che sostiene l'eliminazione di ogni forma di autorità e di dominio, incluso lo Stato. Secondo i principi dell'anarchismo, la società deve essere organizzata in modo tale da permettere ai singoli individui di vivere liberi e in armonia tra loro, senza subire alcuna forma di oppressione. L'obiettivo principale dell'anarchismo è la creazione di una società libera ed egualitaria, in cui le persone sono in grado di governarsi da sole senza la necessità di un'autorità centrale. L'anarchismo si basa sull'idea che la libertà individuale sia la massima priorità, e che ogni forma di governo o di autorità rappresenti una minaccia alla libertà personale. L'anarchismo rifiuta anche l'idea di proprietà privata, sostenendo che la terra e le risorse naturali debbano essere condivise e utilizzate in modo equo da tutti. Esistono diverse correnti dell'anarchismo, tra cui l'anarchismo individualista, l'anarchismo socialista, l'anarco-sindacalismo, l'anarchismo ecologista e l'anarchismo femminista. Nonostante le differenze tra le varie correnti, tutte le forme di anarchismo hanno in comune la convinzione che la società debba essere organizzata in modo tale da permettere la massima libertà possibile ai singoli individui, senza l'ingerenza di autorità esterne. 

Per completare ulteriormente la descrizione dell'anarchismo, è importante menzionare alcuni dei principi e dei valori fondamentali su cui si basa questa ideologia:

Autogestione: l'anarchismo sostiene l'idea che la gestione delle attività sociali e produttive debba essere affidata ai singoli individui e alle comunità, piuttosto che a un'autorità centrale. L'idea è quella di creare una società in cui le persone siano in grado di gestire le proprie attività e le proprie risorse in modo autonomo, senza la necessità di un governo o di un'organizzazione centralizzata. 

Cooperazione: l'anarchismo promuove l'idea della cooperazione e della solidarietà tra i singoli individui e le comunità. L'obiettivo è quello di creare una società in cui le persone lavorano insieme per raggiungere obiettivi comuni, piuttosto che competere tra loro per il potere o le risorse.

Decentralizzazione: l'anarchismo sostiene l'idea della decentralizzazione del potere, in cui le decisioni politiche e sociali vengono prese a livello locale o comunitario, piuttosto che a livello nazionale o internazionale. L'obiettivo è quello di creare una società in cui i singoli individui e le comunità abbiano il potere di decidere autonomamente le proprie politiche e i propri comportamenti.

Anticapitalismo: l'anarchismo rifiuta l'idea del capitalismo come sistema economico, sostenendo che questo sistema favorisca la concentrazione del potere e delle risorse nelle mani di pochi individui o organizzazioni. L'obiettivo è quello di creare una società in cui le risorse e le attività economiche vengono gestite in modo equo e sostenibile.

Libertà individuale: l'anarchismo promuove l'idea della libertà individuale come valore fondamentale, sostenendo che ogni individuo debba essere libero di scegliere il proprio stile di vita e le proprie attività, senza l'ingerenza di un'autorità esterna.

La storia dei movimenti anarchici inizia nel XIX secolo, in Europa, come risposta alle ingiustizie sociali e all'oppressione dei governi dell'epoca. Il primo pensatore anarchico riconosciuto è Pierre-Joseph Proudhon, che nel 1840 pubblicò il libro "Che cos'è la proprietà?", in cui sosteneva l'idea che la proprietà privata fosse la causa principale delle ingiustizie sociali. Negli anni '70 del XIX secolo, l'anarchismo cominciò ad avere un ruolo importante nelle lotte operaie e sindacali, in particolare in Spagna e in Francia. Nel 1871, durante la Comune di Parigi, gli anarchici presero parte ai combattimenti contro il governo francese, e in seguito si unirono ai movimenti sociali e politici per la difesa dei diritti dei lavoratori. Negli anni '80 del XIX secolo, l'anarchismo si diffuse anche in America, dove i movimenti anarchici si unirono alle lotte contro lo sfruttamento dei lavoratori da parte delle grandi imprese industriali. In questo periodo, l'anarchismo si sviluppò anche in Russia, dove i movimenti anarchici sostennero la rivoluzione del 1905. Durante il XX secolo, l'anarchismo continuò a essere una forza importante nelle lotte sociali e politiche in tutto il mondo. Negli anni '20 e '30, gli anarchici si unirono alle lotte per la rivoluzione in Messico e in Spagna. In quest'ultimo paese, gli anarchici parteciparono attivamente alla Guerra civile spagnola, in cui sostennero la creazione di comunità autogestite e di organizzazioni sindacali indipendenti dallo Stato. Dopo la Seconda guerra mondiale, l'anarchismo subì una fase di declino, in parte a causa della crescita del comunismo e della distruzione delle organizzazioni anarchiche durante la guerra. Tuttavia, negli anni '60 e '70, l'anarchismo conobbe una rinascita, grazie alla partecipazione ai movimenti studenteschi e alle lotte contro la guerra in Vietnam. Negli anni '80 e '90, l'anarchismo si diffuse in tutto il mondo, in particolare in America Latina, dove i movimenti anarchici sostennero le lotte per la giustizia sociale e la democrazia. In Europa, l'anarchismo si unì alle lotte contro il neoliberismo e la globalizzazione, e sostenne la creazione di nuove forme di organizzazione sociale e politica basate sulla cooperazione e l'autogestione. Nel XXI secolo, l'anarchismo continua a essere una forza politica importante, in particolare nelle lotte per la difesa dell'ambiente, dei diritti dei migranti e della giustizia sociale. Gli anarchici si impegnano anche nella creazione di comunità autogestite e di organizzazioni che siano indipendenti dallo Stato e dal potere economico. Inoltre, l'anarchismo ha contribuito allo sviluppo di nuove forme di attivismo e di resistenza a volte nonviolenta, come le manifestazioni di Occupy e il movimento dei gilet gialli in Francia.

Pierre-Joseph Proudhon (1809 - 1865)

ANNA

L’etimologia del nome Anna si riallaccia all’ebraico חַנָּה (Channah o Hannah) che significa "grazia" o "favore". Nell’Antico Testamento, Hannah era una donna molto devota e fedele, che pregava instancabilmente per avere un figlio. La sua preghiera venne infine esaudita, così diede alla luce Samuele, che divenne uno dei più importanti profeti d'Israele. Hannah è descritta come una donna molto coraggiosa e devota, e il suo nome divenne sinonimo di bellezza interiore eamorevolezza. Anche nel Nuovo Testamento, troviamo un personaggio di nome Anna, l'anziana profetessa di Gerusalemme che, assieme a Simeone, riconobbe in Gesù bambino il Messia. Secondo una tradizione più tarda rispetto ai Vangeli, la madre di Maria aveva come nome Anna; ciò contribuì in maniera rilevante alla diffusione di questo nome durante il medioevo. Altri studiosi sostengono che Anna sia una forma del nome greco Ἄννα (Anna) che significa "favorita", ma sicuramente la lingua greca mutuò il nome Ἄννα dall’Hannah ebraico. Nel corso dei secoli, il nome Anna è stato adottato da molte culture diverse, e ha assunto molte forme in molte lingue diverse. In francese, il nome si è evoluto in francese in Anne, Hannah, Anaïs; in inglese in Hannah, Anna, Ann o Anne; in tedesco in Hanna, Hannah, Hanne; in arabo in آنا; in spagnolo in Ana etc. Il nome Anna, che ha la particolarità di essere palindromo, cioè non cambia se viene letto in uno o nell'altro senso, è stato il secondo nome più diffuso in Italia nel XX secolo e tra i più diffusi anche nel XXI secolo.  L’onomastico viene festeggiato il 26 luglio, in memoria di Sant'Anna, madre della Madonna. Diminutivi e vezzeggiativi del nome Anna: Annarella, Annetta, Annina, Annuccia, Anni, Annj, Anny, Annie… Al nome Anna viene associato il colore bianco, simbolo di purezza e di perfetto.equilibrio.

ANTONIO

L'etimologia del nome Antonio ci riporta al latino "Antonius", un nome comune nell'antica Roma  derivato dalla radice "anton-" di origine probabilmente etrusca che significa "inestimabile, prezioso, degno di onore". Dal Rinascimento, questo nome è stato arbitrariamente accostato all'etimo greco άνθος (ánthos) cioè "fiore", da cui discende invece il nome Anto. Il più famoso portatore del nome è stato Marco Antonio, generale e amante di Cleopatra nella vita di Cesare, ma ci sono stati molti altri personaggi storici e letterari noti con questo nome, come Antonio Ponz, Antonio de Ulloa, Antonio Machado, Antonio Vivaldi, Antonio Gramsci e molti altri. Oggi è ancora un nome popolare in molte culture e lingue, tra cui italiano, spagnolo, portoghese e in molte altre lingue. Il nome Antonio è anche associato a Sant'Antonio, un santo molto venerato nelle chiese cattoliche e ortodosse. Sant'Antonio fu un monaco e prete francescano, noto per la sua vita ascetica e per i suoi miracoli. Il giorno del suo onomastico è il 13 giugno e in molti paesi ci sono celebrazioni e feste in suo onore. In molte culture Sant'Antonio è venerato come il santo degli animali e dei bambini smarriti. Inoltre, è considerato il protettore degli sposi, degli affari e della buona fortuna. Oggi è un nome comune anche nei paesi di lingua inglese, portoghese, spagnolo ed italiano; infatti, essendo un nome di origine latina, è molto diffuso in tutta Europa, America Latina, Africa e Asia. In alcuni paesi, come l'Italia, il nome Antonio è stato uno dei nomi più comuni per molti secoli e ancora oggi è molto popolare. In altri paesi, come gli Stati Uniti, il nome Antonio è stato introdotto da immigrati di origine latina e anche lì è molto diffuso. Il colore che viene associato al nome Antonio è il giallo, indica la gioia, l'energia, positività e la felicità, la pietra preziosa associata a questo nome è il topazio, una pietra portafortuna, simbolo della saggezza e della generosità. Varianti del nome Antonio: Toni, Tonuccio, Tonino, Totò etc. Al femminile: Nina, Antonina, Antonita, Antonella, Tonia.

ASSEMBRAMENTO

L'etimologia della parola assembramento si riconduce al latino  adsimulare o assimulare, dall'unione del prefisso ad = verso + simul = insieme + are (suffisso verbale), poi acquisito dal francese assemblerL'assimulamento o, più modernamente, l'assembramento è sinonimo di riunione occasionale.
Oggi è usato prevalentemente nella forma riflessiva assembrarsi cioè radunarsi, affollarsiI dizionari sincronici contemporanei segnalano per assembramento  due significati: 
  1. nell’uso comune, assembramento identifica una ‘riunione, affollamento disordinato di persone, specialmente in luogo aperto’ (Garzanti 2017);
  2. un ‘raggruppamento occasionale di persone in un luogo aperto per manifestazioni, spettacoli, ecc.’ e per estensione ‘affollamento, folla’ (Devoto-Oli 2020).

ARDERE

L'etimologia della parola ardere deriva dal latino ardēre = bruciare, dare a fuoco, a sua volta dalla radice indoeuropea as- = abbrustolire ( in sanscrito ritroviamo la parola âsa = cenere). A tale radice può ricondursi anche il verbo latino arère, da cui aridus = reso secco (dal calore, dal fuoco).
Il verbo ardere può essere usato in modo transitivo, ad esempio "ardere la legna" cioè bruciare la legna oppure in modo intransitivo, ad esempio "ardere d'amore" cioè essere infiammato, essere totalmente preso dall'amore. 

AUGURI

L'etimologia della parola augùri, generalmente usata al plurale (ma anche al singolare: augurio) è da ricollegarsi all'unione di due vocaboli latini: av-is (o au-is) = uccello, volatile + gero = fare, operare, gestire. Infatti, nell'antichità gli àuguri erano sacerdoti che prevedevano il futuro basandosi sul volo, sul canto e su altri comportamenti degli uccelli.
Un'altra interpretazione etimologica, quest'ultima un po' meno accreditata, indica quale etimo delle parole augùrio, augùri, augurare  il verbo latino augère = crescere, abbondare, prosperare...
Sia l'una, sia l'altra interpretazione etimologica, indicano un auspicio favorevole, il desiderio di eventi futuri lieti, la speranza di prossimi risultati positivi.

AMULETO E TALISMANO

Sebbene la due parole amuleto e talismano vengano spesso usate come sinonimi, dal punto di vista etimologico hanno connotati diversi anzi, addirittura opposti.
Infatti, mentre l'etimologia della parola amuleto si riallaccia al participio passato amuletum, dal  verbo latino amoliri = allontanare, con allusione alle proprietà contro il male che la  superstizione attribuisce all'amuleto, invece l'etimologia della parola talismano si riconduce all'arabo telsaman o tilsaman, a sua volta, dal verbo greco τελε(ι)όω (teleo) = io consacro, da cui τελἐσμενα (telèsmena) = cose consacrate (agli idoli), cose che portano fortuna... Quindi, mentre l'amuleto ha una funzione essenzialmente protettiva nei confronti di quanto considerato negativo, invece il talismano, ha funzioni propiziatorie di ciò che è considerato come bene.

Piccola nota personale dell'autore (che esula dall'analisi etimologica):
La credenza superstiziosa in talismani ed in amuleti, dal punto di vista del Cristianesimo è da considerarsi vera e propria idolatria. Infatti, l'atto di affidare il proprio destino ad altri che non sia il Dio di Gesù Cristo, equivale ad invocare l'aiuto di poteri soprannaturali maligni, che, a tempo debito, chiederanno indietro il credito con interessi più che usurai.... Persino l'utilizzo di oggetti sacri riconducibili alla stessa religiosità,  se usati con intenzioni errate (ad esempio, come se fossero dei portafortuna...) può equivalere al rifiuto di uniformarsi alla Volontà del Dio-Padre rivelatoci da Gesù Cristo. 

ARROGANZA

L'etimologia della parola arroganza è da ricondursi al latino arrogare, formato dalla particella rafforzativa ad- e dal verbo rogare cioè chiedere. Pertanto, arrogante è colui che chiede con insistenza, con presunzione, con altezzosità, spesso anche attribuendosi indebitamente  più ragioni o più diritti di quanti effettivamente ne abbia.

ALBERO

L'etimologia della parola albero (in latino, arbor) si ricollega alla radice indoeuropea  urv- --> urb- --> arb-  che esprime l'idea di fecondità, l'idea di produrre. 
Un'altra interpretazione etimologica, individua nella radice sanscrita ardh-, che esprime l'idea di crescere, di innalzarsi, di svilupparsi, l'etimo della parola albero.
Un'ultima interpretazione, individua nel prefisso ad- unito alla radice sanscrita bhu- che esprime, anch'essa, l'idea della crescita, l'idea dello sviluppo.