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PATENTE, etimologia e significato

La parola patente deriva dal latino patens, patentis, participio presente del verbo patere, che significa "essere aperto", "stare aperto", "mostrarsi". L'idea di apertura e di accessibilità è al centro del significato originario del termine. Il latino patens veniva utilizzato per indicare qualcosa di "aperto" o "visibile", e, per estensione, riferito a un documento ufficiale, stava a significare che tale documento fosse "pubblico" o "accessibile a tutti". Il termine patente è stato ereditato direttamente dal latino nelle lingue romanze, mantenendo questa sfumatura di significato. In italiano, la parola ha acquisito il senso di documento ufficiale che conferisce una particolare abilitazione o autorizzazione. Ad esempio, la patente di guida è un documento che autorizza chi lo possiede a guidare veicoli su strada pubblica. Questa accezione deriva dall'uso che si fece nel Medioevo di espressioni come litterae patentes (lettere patenti), cioè documenti ufficiali emanati dal sovrano o da un'autorità, aperti alla lettura pubblica e che conferivano diritti o privilegi. Tali documenti si contrapponevano alle litterae clausae (lettere chiuse), che erano invece destinate a restare riservate e sigillate. Con il passare del tempo, il significato si è specializzato ulteriormente, portando alla moderna accezione di patente come autorizzazione o certificato.

La patente italiana in formato elettronico

CHITARRA, etimologia e significato

La parola chitarra ha un'etimologia che risale a diverse lingue e tradizioni culturali. Partendo dalla sua forma attuale in italiano, la parola deriva dallo spagnolo guitarra, che a sua volta proviene dall'arabo qīthāra (قيثارة), un termine utilizzato per indicare strumenti a corda. L'origine araba del termine si innesta su uno sviluppo ancora più antico, che passa dal greco antico κιθάρα (kithára), un importante strumento musicale nell'antica Grecia, simile alla lira, ma di dimensioni più grandi e con una struttura più complessa. La parola greca kithára probabilmente ha una radice indoeuropea e si connette al sanscrito gīt (canto) o gaitha (corda vibrante o canto).

Di seguito, una panoramica dettagliata delle principali tipologie di chitarra, partendo dalle forme più antiche fino a quelle moderne:

-  Cithara Romana (I secolo a.C. – I secolo d.C.)

La cithara romana è uno degli strumenti più antichi che possiamo considerare antenato della chitarra. Derivata dalla kithára greca, era uno strumento a corde pizzicate, simile alla lira, ma con una struttura più rigida e geometrica. Aveva poche corde (tra 4 e 7) tese su una cassa armonica fatta di legno. Era uno strumento usato soprattutto nell'ambito della musica colta e religiosa.

-. Chitarra Rinascimentale (XV-XVI secolo)

La chitarra rinascimentale era uno strumento più piccolo e delicato rispetto alle versioni moderne, con quattro o cinque cori (gruppi di due corde accordate all'unisono o a ottava). Il suo utilizzo si sviluppò in Europa tra il XV e XVI secolo. Le corde erano generalmente di budello e veniva utilizzata per accompagnare balli e canzoni popolari. Lo strumento aveva una cassa armonica decorata e intarsiata, con una forma più stretta rispetto a quella delle chitarre moderne.

- Vihuela (XVI secolo)

La vihuela fu molto popolare in Spagna e in Italia nel corso del Rinascimento. Questo strumento, con sei cori di corde, aveva una forma simile alla chitarra ma era di dimensioni maggiori e veniva suonato in modo simile al liuto. Era utilizzato sia per l'accompagnamento sia come strumento solista e veniva spesso accordato come il liuto. Si distingue per la sua cassa armonica decorata con intagli e rosette elaborate.

-  Chitarra Barocca (XVII secolo)

Nel periodo barocco, la chitarra si evolse ulteriormente con l'introduzione della chitarra barocca a cinque cori. In questo periodo, lo strumento divenne popolare non solo per accompagnare le canzoni ma anche come strumento solista virtuoso. La chitarra barocca aveva una cassa armonica sottile e stretta, con un suono più nitido e brillante rispetto ai modelli precedenti.

-  Chitarra Classica (XIX secolo - oggi)

La chitarra classica, come la conosciamo oggi, si è sviluppata nel XIX secolo grazie al liutaio spagnolo Antonio Torres Jurado. Questa versione ha sei corde singole, una cassa armonica più grande rispetto ai modelli precedenti e una tastiera più lunga. Le corde, originariamente in budello, oggi sono fatte di nylon. È utilizzata principalmente per la musica classica e tradizionale, con un suono caldo e dolce. Questo strumento è caratterizzato dal fingerpicking, in cui le dita pizzicano direttamente le corde.

-  Chitarra Acustica (XIX-XX secolo - oggi)

La chitarra acustica si differenzia dalla chitarra classica per la presenza di corde in metallo e una cassa armonica più robusta, pensata per produrre un suono più forte e brillante. Sviluppata principalmente negli Stati Uniti nel XIX secolo, è utilizzata in generi come il folk, il blues e il country. La sua costruzione e dimensione varia, ma una delle versioni più conosciute è la chitarra Dreadnought, creata dalla Martin & Co. negli anni ’20 del XX secolo, con una cassa particolarmente ampia e un suono potente.

-  Chitarra Archtop (XX secolo)

La chitarra archtop fu sviluppata nei primi del Novecento e si distingue per la sua cassa armonica arcuata, ispirata agli strumenti ad arco come il violino. Le chitarre archtop sono spesso utilizzate nella musica jazz per il loro suono profondo e caldo. Spesso sono dotate di una buca a forma di "f" (come nei violini) invece della classica rotonda.

-  Chitarra Elettrica (XX secolo - oggi)

La chitarra elettrica rappresenta una svolta radicale nel mondo degli strumenti a corda. Introdotta negli anni ’30 del XX secolo, si differenzia per la presenza di pick-up magnetici che trasformano le vibrazioni delle corde in segnali elettrici, amplificati da un amplificatore esterno. Non ha bisogno di una cassa armonica per amplificare il suono, il che ha permesso di sperimentare forme e design diversi. Alcuni modelli iconici includono la Fender Stratocaster e la Gibson Les Paul. Utilizzata in generi come il rock, il jazz, il blues e il pop, è uno degli strumenti più influenti della musica moderna.

-  Chitarra Semi-Acustica (XX secolo - oggi)

Le chitarre semi-acustiche, introdotte a metà del XX secolo, combinano elementi della chitarra acustica e di quella elettrica. Hanno una cassa armonica più sottile rispetto alle acustiche tradizionali, ma presentano anche pick-up che permettono di amplificare il suono. Sono particolarmente apprezzate nella musica jazz e blues, dove offrono un suono caldo e risonante, ma possono anche essere amplificate per contesti rock.

-  Chitarra a 7 e 8 corde (XXI secolo)

Negli ultimi decenni, si sono sviluppate anche varianti della chitarra elettrica e acustica con 7 o 8 corde, utilizzate principalmente nella musica metal e in generi sperimentali. Queste chitarre offrono un'estensione tonale maggiore, soprattutto nei registri bassi, e consentono maggiore versatilità nell'esecuzione.

-  Chitarra MIDI e Digitali (XXI secolo)

Con l'avvento della tecnologia digitale, sono state create anche chitarre con sistemi MIDI o completamente digitali, in grado di controllare sintetizzatori o produrre suoni campionati. Questi strumenti permettono ai chitarristi di esplorare nuove possibilità timbriche e creative, mantenendo la tecnica tradizionale del suonare la chitarra.

Chitarre

FROTTOLA, etimologia e significato

La parola frottola, nel suo uso attuale nella lingua italiana, si riferisce generalmente a un’affermazione falsa, ingannevole o senza fondamento, un sinonimo colloquiale di “bugia” o “menzogna”. Tuttavia, l’origine di questo termine ha un percorso storico e linguistico complesso che si intreccia con lo sviluppo della letteratura e della cultura italiana tra il Medioevo e il Rinascimento. L’etimologia di frottola viene tradizionalmente ricondotta al termine tardo volgare frotta, che significa "mucchio", "massa confusa" o "insieme disordinato di cose". Il latino frotta sarebbe collegato al verbo frictare (da fricare), che significava "strofinare", "agitare", da cui può derivare l’idea di un insieme di elementi mescolati e confusi, il che richiama la nozione di qualcosa di non chiaro, non ben definito, quindi di falso o ingannevole. Questo concetto di mescolanza e confusione sembra essere uno dei primi passi per l'evoluzione semantica del termine, che avrebbe poi acquisito una connotazione di "racconto falso". Già nel Medioevo, nel contesto dell’italiano volgare, si possono trovare tracce di questa evoluzione: la parola frottola comincia ad essere usata in senso figurato per indicare una narrazione disordinata, priva di veridicità o di coerenza logica. In particolare, l’idea di un discorso senza capo né coda si avvicina all’accezione di frottola come menzogna. Il termine frottola acquisisce ulteriore rilevanza nel Quattrocento e nel Cinquecento, quando assume un significato specifico nel contesto della musica e della letteratura. La frottola diventa infatti una forma di poesia musicale molto popolare alla corte italiana durante il Rinascimento. Si trattava di composizioni poetiche brevi, spesso caratterizzate da contenuti leggeri, scherzosi o satirici, e musicalmente semplici. Questo genere fu particolarmente fiorente nelle corti italiane di Ferrara e Mantova tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, con autori come Bartolomeo Tromboncino e Marchetto Cara che furono tra i principali esponenti. L’etimologia del termine frottola in questo contesto musicale potrebbe essere collegata proprio all’idea di una composizione semplice, non troppo impegnativa, quasi frivola, da cui poi deriva il senso moderno di qualcosa di poco serio o non veritiero. La frottola si distaccava infatti dalla poesia elevata e dalle composizioni più impegnative dell'epoca, ed è plausibile che questo carattere “leggero” si sia trasmesso anche al significato corrente del termine. Con il passare dei secoli, il significato musicale e poetico della frottola è andato in gran parte perduto, lasciando spazio all’accezione più colloquiale di "menzogna" o "bugia". Questo passaggio semantico sembra essere stato favorito dall’associazione con racconti di poco valore o fittizi che, proprio come le frottole musicali rinascimentali, erano considerati di bassa qualità, privi di contenuto vero o affidabile. Così, dal racconto "frivolo", si passa gradualmente alla menzogna vera e propria, un racconto ingannevole o privo di veridicità. Nel vocabolario italiano contemporaneo, la parola frottola ha ormai un significato prevalentemente negativo, usata per descrivere una bugia evidente o un’affermazione campata in aria. L'uso del termine è spesso ironico o colloquiale, e compare comunemente in frasi come "raccontare frottole" o "non credere a quelle frottole", sottolineando il carattere palesemente falso o inverosimile delle affermazioni in questione. L’evoluzione del termine frottola è ben documentata nelle opere letterarie e nei dizionari italiani. Il Vocabolario della Crusca del 1612 già registra l’uso di frottola con il significato di "cosa detta senza fondamento", mostrando come l’accezione moderna fosse già in uso. Allo stesso tempo, le raccolte di frottole musicali del Rinascimento, come quelle conservate negli archivi della Biblioteca Estense di Modena, offrono una testimonianza del valore storico e culturale del termine in un contesto artistico specifico. 

Frottola

BAROCCO, etimologia e significato

La parola barocco, oggi usata per descrivere uno stile artistico, architettonico e letterario fiorito tra la fine del XVI e l'inizio del XVIII secolo, ha origini che risalgono a significati legati a irregolarità e stravaganza. La sua etimologia  ci riporta alle seguenti interpretazioni:. 

1. Derivazione dal portoghese o dallo spagnolo:

 La teoria più accreditata riconduce la parola al termine portoghese barroco o a quello spagnolo barrueco, che indicava una perla di forma irregolare o imperfetta. In questo contesto, il termine fu usato per descrivere qualcosa di bizzarro o non convenzionale, concetto che si allinea all’estetica dello stile barocco, caratterizzato da ornamenti complessi, sovrabbondanza di forme e una certa teatralità. Questa interpretazione etimologica è supportata da diversi studi linguistici, tra cui quelli dello storico dell'arte tedesco Heinrich Wölfflin, che ha coniato una delle prime definizioni stilistiche del termine.

2. Origine scolastica e filosofica:

   Un’altra ipotesi etimologica fa risalire il termine al linguaggio della logica scolastica medievale. In particolare, "barocco" si riferirebbe al modo di descrivere un tipo di sillogismo sofistico o artificioso, il cosiddetto "modus baroco", una formula di deduzione del quarto tipo. Qui, l'accezione del termine barocco sarebbe legata a un ragionamento tortuoso, difficile da comprendere o astruso, il che potrebbe aver contribuito alla connotazione di complessità e stranezza applicata successivamente all’arte.

3. Significato di strano o bizzarro:

   Alcuni etimologi hanno anche ipotizzato che la parola potrebbe derivare dal latino medievale barochus, con il significato di qualcosa di strano, confuso o stravagante. Questa origine, sebbene meno probabile delle altre, potrebbe riflettere il carattere anomalo e anticonvenzionale dello stile barocco rispetto al classicismo rinascimentale che lo precedette.

Evoluzione del termine e del concetto

Nel corso del XVIII secolo, il termine barocco fu utilizzato in senso dispregiativo, soprattutto dagli esponenti dell'Illuminismo, per indicare un’arte eccessivamente ornamentale e lontana dall’armonia e dalla semplicità classiche. Solo successivamente, con lo sviluppo degli studi critici e storici nel XIX secolo, il termine venne rivalutato e cominciò a essere utilizzato per indicare positivamente un'intera epoca culturale caratterizzata da un’innovativa esuberanza artistica e dall’espressione del dinamismo e della teatralità.

Lo stile barocco

PETTEGOLO, etimologia e significato

Le ipotesi etimologiche circa la parola pettegolo sono, fondamentalmente, due:

1. Origine dal veneziano "petegolo" e legame con "peto".

Ipotesi etimologica prevalente (come indicata dal Vocabolario Treccani):

La parola pettegolo deriva dal veneziano petégolo, inizialmente utilizzata soprattutto nella forma femminile petégoła. Questo termine è un derivato di peto, e la connessione con il "peto" avviene per metafora: proprio come il peto è un'emissione incontrollata e involontaria, così il pettegolo è colui che non sa trattenere le parole, rivelando dettagli indiscreti o maldicenze senza controllo. Si tratta quindi di un paragone figurato legato all’incontinenza verbale. È un esempio di come termini legati al corpo e ai suoi processi possano acquisire una connotazione morale o comportamentale.

2. Origine dialettale toscana: "petecchio"

Ipotesi alternativa (meno citata ma presente in studi etimologici):

Un'altra possibile origine di pettegolo si può ricondurre al dialetto toscano, e in particolare alla parola petecchio, che indicava in origine una malattia della pelle (con macchie chiamate petecchie). Da petecchio sarebbe poi derivato il termine pettegolo con il significato figurato di "macchiare" la reputazione altrui parlando male delle persone. L'evoluzione semantica in questo caso spiegherebbe come si passi dal concetto di "macchia fisica" a quello di "macchia morale".

Il pettegolo

TANGHERO, etimologia e significato

La parola tanghero è un termine di origine non affatto certa. In italiano, viene utilizzata per indicare una persona rozza, maleducata, o priva di tatto, con un'accezione nettamente dispregiativa.

Di seguito, le possibili derivazioni, in ordine di plausibilità:

1. Origine da tanganum (germanica)

L'ipotesi più accreditata è che tanghero derivi dal termine tanganum, di origine germanica, una specie di strumento agricolo, un palo o una pertica usata dai contadini. L’uso figurato di tanganum, che indicava un atteggiamento di rigidità, di ostinatezza potrebbe aver dato origine a tanghero, riferendosi a una persona rude e grossolana, simile a un attrezzo pesante e rozzo. Questo passaggio metaforico dal significato concreto (uno strumento grezzo) a quello astratto (persona dai modi rozzi) è tipico dei processi linguistici.

2. Radice latina tangere (toccare)

Un’altra ipotesi plausibile collega tanghero al latino tangere, cioè toccare. In questo senso, il termine potrebbe aver descritto qualcuno che invade lo spazio altrui in maniera sgarbata o maleducata. Questa ipotesi è convincente perché il comportamento invadente e senza tatto è una caratteristica associata al tanghero. La derivazione diretta dal verbo tangere spiega bene l’aspetto comportamentale del termine.

3. Origine dialettale veneta (tangàr)

Secondo alcuni, tanghero potrebbe derivare dal veneto tangàr o tanger, che significa "sbattere contro" o "fare chiasso". Questa ipotesi lega il termine all’idea di una persona rumorosa, maldestra e invadente, tipica descrizione di un tanghero. Sebbene non sia l'origine più sicura, la diffusione attraverso i dialetti può aver influenzato la forma e il significato attuale della parola.

4. Radice indoeuropea than- (tendere)

La radice indoeuropea than- (tendere, stendere) potrebbe spiegare tanghero come una persona rigida, sgraziata nei movimenti o nei modi. Sebbene questa teoria abbia una certa coerenza semantica, manca di una prova diretta di collegamento linguistico tra than- e tanghero. Tuttavia, l'idea di rigidità o forza sgraziata è compatibile con il significato del termine.

5. Derivazione da tanfo (odore cattivo)

Un'ipotesi meno accreditata suggerisce che tanghero possa derivare da tanfo (odore sgradevole) con il suffisso peggiorativo "-ero". Questo spiegherebbe l’accezione dispregiativa, ma manca un solido legame semantico tra tanfo (odore cattivo) e la descrizione di una persona maleducata o rozza. Sebbene sostenuta dal linguista Giovanni Battista Pellegrini, questa ipotesi appare meno probabile rispetto alle altre.

Il tànghero

TATUAGGIO, etimologia e significato

La parola italiana tatuaggio deriva dal francese tatouage che a sua volta proviene dall'inglese tattoo. Quest'ultimo termine fu introdotto nella lingua inglese dal capitano James Cook (1728-1779) dopo il suo viaggio nel Pacifico meridionale, durante il quale egli e i suoi marinai entrarono in contatto con i popoli indigeni polinesiani, tra cui i Maori della Nuova Zelanda e gli abitanti di Tahiti. Cook, affascinato dalla pratica di decorare il corpo con segni permanenti, ne documentò l'uso nella sua cronaca del viaggio. Cook annotò che i polinesiani chiamavano questa pratica tatau. Il termine tatau deriva dal verbo polinesiano che significa colpire o battere, in riferimento al suono prodotto durante l'applicazione dei tatuaggi, un processo che coinvolgeva l'uso di strumenti rudimentali per inserire l'inchiostro sotto la pelle. In molte culture polinesiane, il tatuaggio aveva una forte connotazione rituale e identitaria. I tatuaggi indicavano spesso lo status sociale, il rango, l'appartenenza a una determinata tribù o clan, e venivano considerati simboli di bellezza o potenza. La parola tatau in queste società aveva un profondo significato culturale, spirituale e comunitario. In Europa, la pratica del tatuaggio era relativamente rara fino all'epoca moderna, ed era spesso associata a marinai, prigionieri o persone emarginate, ma col tempo si è evoluta in una forma d'arte e di espressione individuale. In Occidente, fino al XX secolo, i tatuaggi erano spesso associati a gruppi sociali ai margini della società, come marinai, prigionieri, soldati e criminali. Nel XIX secolo, ad esempio, molti marinai europei adottarono l’usanza del tatuaggio, ispirandosi ai popoli indigeni incontrati nei loro viaggi. I tatuaggi in quel contesto erano simboli di avventura, pericolo e viaggi in terre lontane. In molti casi, i tatuaggi venivano utilizzati anche per identificare i detenuti e le persone marginali, soprattutto nei contesti carcerari. Il tatuaggio, dunque, era spesso visto come segno di ribellione o trasgressione rispetto alle norme sociali dominanti. A partire dalla seconda metà del XX secolo, in particolare dagli anni '60 e '70, i tatuaggi hanno iniziato a perdere l'associazione esclusiva con la marginalità. Questo cambiamento è legato a diversi fattori: movimenti come quello hippy, punk e rock degli anni '60 e '70 hanno abbracciato i tatuaggi come simboli di ribellione e rifiuto delle convenzioni sociali. L'arte del tatuaggio è stata rivitalizzata anche dalle sottoculture underground, che hanno visto nel tatuaggio una forma di espressione artistica alternativa e contro culturale; negli anni '90 e 2000, celebrità della musica, del cinema e dello sport hanno contribuito a sdoganare i tatuaggi rendendoli popolari e accettati dalla massa. Personalità come David Beckham, Angelina Jolie e molti musicisti e attori hanno esibito i loro tatuaggi, dando loro un'aura glamour e aspirazionale. Oggi i tatuaggi vengono scelti per una vasta gamma di motivi, che riflettono il pluralismo della cultura contemporanea. I tatuaggi sono diventati uno strumento per esprimere la propria identità, i propri valori, esperienze di vita o convinzioni personali. Molti scelgono tatuaggi per commemorare eventi significativi, celebrare relazioni o ricordare persone care. Sempre più persone considerano il proprio corpo come una tela su cui un artista può lavorare. Il tatuaggio, quindi, è percepito come una forma d'arte visiva, e molti tatuatori sono oggi considerati artisti, riconosciuti per il loro talento nel disegno e nella tecnica. In alcuni casi, i tatuaggi sono ancora utilizzati per esprimere appartenenza a gruppi o sottoculture. Questo può avvenire in contesti molto diversi, dalle gang e dai gruppi estremisti, ai collettivi artistici e alle comunità di appassionati di determinati generi musicali o sportivi. Il tatuaggio ha assunto anche un valore estetico e di tendenza. Molti si fanno tatuaggi semplicemente per seguire una moda o perché apprezzano il lato estetico dell’arte sul corpo. Disegni minimalisti, simboli geometrici o animali stilizzati sono diventati parte di un'estetica moderna e raffinata. Con la diffusione del tatuaggio come forma d’arte e di espressione personale, si è anche osservata una crescente accettazione sociale e professionale. In molti contesti lavorativi, come l'arte, la moda e i settori creativi, i tatuaggi non solo sono tollerati, ma talvolta persino celebrati come simboli di creatività e originalità. Tuttavia, restano ancora pregiudizi in alcuni ambiti, come nel settore finanziario o giuridico, dove il tatuaggio può essere visto come una violazione della formalità o del decoro. Nonostante questo, la percezione generale sta cambiando, e sempre più persone si sentono libere di tatuarsi senza temere ripercussioni sul lavoro o nella società. Un aspetto cruciale nell’evoluzione dei tatuaggi è legato ai miglioramenti tecnologici che hanno reso questa pratica molto più sicura rispetto al passato. Gli aghi monouso, le tecniche di sterilizzazione avanzate e i pigmenti ipoallergenici hanno ridotto drasticamente i rischi associati ai tatuaggi. I tatuatori professionisti sono spesso formati in igiene e sicurezza, e i negozi di tatuaggi sono soggetti a regolamentazioni sanitarie rigorose in molti paesi occidentali. L'avvento della tecnologia laser ha reso possibile la rimozione dei tatuaggi, un'opzione sempre più richiesta da chi desidera cancellare tatuaggi non più desiderati o associati a fasi di vita passate. La possibilità di rimuovere un tatuaggio ha probabilmente contribuito all'aumento della loro diffusione, offrendo alle persone una via d'uscita in caso di ripensamenti.

Tatuaggio tribale (Maori)