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RITO, etimologia e significato

Con la parola rito o rituale (aggettivo sostantivato) si intende un insieme di atti formali, simbolici e spesso ripetuti che assumono significati profondi all'interno di una determinata comunità o contesto. Il termine è strettamente connesso alla dimensione sacra, ma il suo impiego si estende anche alla sfera civile e politica, riflettendo l'evoluzione delle società umane nel corso dei millenni. La parola "rito" deriva dal latino ritus, che significa "uso, costume, cerimonia religiosa". Questo termine, a sua volta, è collegato alla radice protoindoeuropea (H)réi-  (in cui la H indica una laringale), che racchiude i significati di "ordine, regola, misura, disposizione appropriata". La radice (H)réi- è fondamentale per comprendere il concetto originario di "rito". Questa radice esprime l'idea di un "movimento in linea retta" o di un "andamento ordinato", concetti che sono metaforicamente estesi alla nozione di "regola" o "ordine stabilito". Il legame semantico tra ordine e ritualità emerge chiaramente nella funzione dei riti come strumenti per stabilire e mantenere un ordine cosmico, sociale o politico. Questa radice è attestata in diversi termini delle lingue indoeuropee. In sanscrito, il termine ṛta (ṛtaṁ) significa "ordine, legge, verità" ed è strettamente connesso al concetto vedico di ṛta, che rappresenta l'ordine cosmico e morale dell'universo. Nei Veda, ṛta è la forza che governa il cosmo e le azioni rituali sono viste come un mezzo per mantenere quest'ordine; in greco antico: Il termine ἀριθμός (arithmós), che significa "numero", riflette l'idea di ordine e disposizione; in gotico,Il termine reišs ("modo, maniera") mostra come la radice si estenda al significato di "procedura stabilita"; nell'antico inglese troviamo riht ("diritto, giusto") e nel tedesco recht ("legge, diritto"). Tutte queste parole derivano dalla stessa radice e condividono il significato di "regola giusta".

In latino, ritus si riferisce inizialmente a "un insieme di pratiche consuetudinarie" che regolano tanto le cerimonie religiose quanto le usanze sociali. Il significato originale si collega all’idea di un comportamento stabilito e approvato, che garantisce la coesione di una comunità. Con il tempo, il termine acquisì una connotazione più specificamente religiosa, indicando i dettagli formali dei culti. Nel contesto romano, il "rito" è strettamente associato ai mores maiorum, cioè i costumi degli antenati, che rappresentano una sintesi di norme morali, sociali e religiose. I ritus non erano semplicemente azioni sacre, ma strumenti per mantenere la "pax deorum", l’equilibrio tra gli uomini e gli dei, fondamentale per il successo dello Stato romano. Fin dall’antichità, il rito è stato utilizzato come strumento per legittimare il potere politico e religioso. In molte società, i governanti erano anche i principali officianti dei rituali, rafforzando così il loro ruolo come intermediari tra il mondo umano e quello divino. Nella civiltà vedica: I riti sacrificali (yajña) erano eseguiti per mantenere l'ordine cosmico (ṛta) e garantire la prosperità del regno; nell'antica Roma, i riti pubblici, come quelli celebrati dai pontefici e dagli auguri, erano essenziali per l'organizzazione dello Stato. L’osservanza scrupolosa dei riti garantiva la legittimità delle decisioni politiche e militari. 

Con l’avvento dell’età moderna, il concetto di rito si è trasformato, adattandosi a nuovi contesti sociali, politici e culturali. Mentre i riti religiosi continuavano a svolgere un ruolo importante, nuove forme di ritualità si svilupparono nelle sfere laiche e civili. Nell’età moderna, i riti divennero strumenti per consolidare l’identità nazionale. Cerimonie come incoronazioni, parate militari e celebrazioni nazionali furono utilizzate per rafforzare il senso di appartenenza a uno Stato. Gli studi di autori come Emile Durkheim e Victor Turner hanno evidenziato come i riti, anche in contesti non religiosi, siano fondamentali per la coesione sociale. Durkheim definì i riti come "atti collettivi che rafforzano la solidarietà sociale", mentre Turner li interpretò come momenti liminali, cioè di transizione e trasformazione. Nell’età contemporanea, i riti laici hanno assunto crescente importanza. Eventi come cerimonie di laurea, matrimoni civili e manifestazioni pubbliche si configurano come momenti rituali che conferiscono significato e valore ai passaggi della vita individuale e collettiva. In un mondo sempre più globalizzato, i riti hanno acquisito una dimensione interculturale. Da un lato, molti riti tradizionali sono stati adattati o reinterpretati per rispondere alle sfide della modernità; dall’altro, si sono sviluppati nuovi rituali, legati a fenomeni come i social media e la cultura di massa. Un esempio è rappresentato dalle celebrazioni sportive internazionali, che funzionano come rituali globali di partecipazione collettiva. Il rito è sempre stato un elemento centrale nella definizione dell’identità culturale di un popolo. Attraverso la ripetizione di gesti e parole codificati, le comunità riaffermano i propri valori e la propria visione del mondo. Inoltre, i riti fungono da meccanismi di inclusione ed esclusione, definendo chi appartiene a una determinata comunità e chi ne è escluso.

Rito

MIRRA, etimologia e significato

La mirra è una resina aromatica, estratta da un albero o arbusto del genere Commiphora, della famiglia delle Burseraceae. La specie più comune per la sua produzione è la Commiphora myrrha (diffusa in Somalia, Etiopia, Sudan, penisola arabica). A fine estate, la pianta fiorisce e sul tronco compaiono una serie di noduli, dai quali cola la mirra, in piccole gocce gialle, che vengono raccolte una volta seccate. L'origine della parola mirra è profondamente radicata nella famiglia delle lingue semitiche, dove si rintraccia nella radice m-r-r. Questa radice è associata al concetto di "amarezza", in riferimento sia al sapore caratteristico della mirra sia alla sua natura simbolica legata al dolore e alla purificazione. In Ebraico antico la parola mōr (מוֹר) indica chiaramente la mirra e compare frequentemente nei testi biblici, tra cui il Cantico dei Cantici (4:6: "Io andrò al monte della mirra, al colle dell'incenso") e nei riferimenti al culto del Tempio. Qui, la mirra è sinonimo di sacralità e preziosità. In aramaico, la parola mūrā (ܡܘܪܐ) mantiene il significato di "resina amara", sottolineandone l'uso rituale e medicinale. L'arabo murr (مرّ), che significa "amaro", denota sia il sapore della mirra sia il suo valore commerciale nel mondo arabo pre-islamico e islamico. La parola mirra venne adattata dal greco antico come μύρρα (mýrrha), con una variante parallela σμύρνα (smyrna). L'adozione della parola nel greco riflette l'importanza della resina nell'economia e nella cultura mediterranea. Erodoto (V secolo a.C.) descrive la mirra come una delle merci preziose trasportate lungo le rotte commerciali tra l'Arabia Felix (la moderna Penisola Arabica meridionale) e il mondo greco. La parola "smyrna" diede il nome alla famosa città di Smirne (oggi Izmir, in Turchia), un importante centro di commercio di spezie e resine aromatiche. Dal greco, la parola passò nel latino come myrrha, mantenendo il suo significato originario di "resina aromatica". Autori latini come Plinio il Vecchio, nelle sue Naturalis Historia, e Virgilio, nell’Eneide, citano la mirra sia come sostanza sacra sia come ingrediente per la fabbricazione di profumi nel Medio Oriente, in Egitto, e successivamente nel mondo greco-romano. Essa era utilizzata come: elemento rituale (in Egitto, la mirra era un ingrediente fondamentale nel processo di imbalsamazione. Era ritenuta essenziale per preservare il corpo, simboleggiando l'immortalità e il collegamento con il divino; come offerta religiosa (nelle culture mesopotamiche e semitiche, la mirra veniva bruciata come incenso durante i sacrifici, per onorare gli dèi e purificare gli ambienti sacri; come simbolo biblico (la mirra è menzionata nel Vangelo secondo Matteo (2:11) come uno dei doni offerti dai Magi a Gesù bambino, insieme all’oro e all’incenso. In questo contesto, simboleggia la mortalità di Cristo e prefigura la sua passione e morte). Gli antichi attribuivano alla mirra proprietà terapeutiche. Ippocrate, Galeno e Dioscoride la citano nei loro trattati di medicina. Era utilizzata per disinfettare ferite e prevenire infezioni, alleviare dolori e disturbi gastrointestinali, come ingrediente in unguenti e balsami per lenire la pelle.  Riassumendo, questa resina è stata uno degli ingredienti più apprezzati nella fabbricazione di profumi fin dall’antichità. I Greci e i Romani ne facevano largo uso nei cosmetici, oli per il corpo e unguenti aromatici. Nel Medioevo, la mirra continuò a essere utilizzata sia per scopi religiosi sia medicinali. Divenne un simbolo della sofferenza di Cristo, evocando il sacrificio e la redenzione. Oggi la mirra è impiegata principalmente in fitoterapia, aromaterapia e nella produzione di cosmetici naturali. Ha anche un ruolo limitato nella produzione di incensi e profumi.

La mirra

GIUBILEO, etimologia e significato

La parola giubileo deriva dal latino iubilaeus o annus iubilaeus (anno giubilare), che a sua volta proviene dall’ebraico יוּבל (yovel). Questo termine ebraico significa letteralmente "ariete" o "corno d’ariete", lo strumento utilizzato per annunciare l’inizio dell’anno giubilare secondo la tradizione biblica. La radice ebraica יבל (ybl) indica il concetto di "trasportare" o "condurre", con un riferimento simbolico al ritorno alla condizione originaria di equilibrio e armonia. Nel contesto biblico, lo “yovel” era proclamato ogni cinquant’anni e segnava un periodo di remissione dei debiti, liberazione degli schiavi e restituzione delle terre. Il concetto si trova principalmente nel libro del Levitico (25, 8-13), dove viene descritta la pratica del Giubileo come un momento di rigenerazione sociale ed economica per il popolo di Israele. Quando la tradizione ebraica venne recepita dal cristianesimo, il termine “yovel” fu tradotto nella versione greca dei Settanta come ἵὐβηλος (iobel) e poi nel latino ecclesiastico come "iubilaeus". Qui si verificò un cambiamento semantico significativo: il termine latino acquisì anche il significato di "gioia" o "esultanza", probabilmente influenzato dalla radice latina "iubilare" (esultare, gridare di gioia). Nel Medioevo, il termine "giubileo" divenne strettamente legato alla tradizione cristiana, in particolare alla Chiesa cattolica. Fu papa Bonifacio VIII, nel 1300, a istituire formalmente il primo Giubileo cristiano come un anno di indulgenza plenaria, invitando i fedeli a recarsi in pellegrinaggio a Roma per ottenere la remissione dei peccati. Da quel momento in poi, il Giubileo assunse una dimensione politica oltre che spirituale: la celebrazione attirava un enorme flusso di pellegrini nella città eterna, rafforzando l’autorità della Chiesa e consolidando Roma come centro del mondo cristiano. Dal punto di vista linguistico, il termine "giubileo" si radicò nelle lingue romanze. In italiano, la parola mantenne il doppio significato di "anno giubilare" e "grande festa", riflettendo sia l’aspetto sacro che quello popolare della celebrazione. Il Giubileo ha sempre avuto una forte connotazione politica, specialmente in epoca medievale e rinascimentale. Le celebrazioni giubilari rappresentavano un’occasione per riaffermare l’egemonia papale e promuovere l’unità del mondo cristiano sotto la guida di Roma. Inoltre, i pellegrinaggi legati al Giubileo generavano un impatto economico significativo, favorendo il commercio e lo sviluppo delle infrastrutture cittadine. Durante l’epoca moderna, il significato del Giubileo si è ampliato ulteriormente. Ad esempio, il Giubileo del 2000, proclamato da papa Giovanni Paolo II, non fu solo un evento religioso, ma anche un momento di dialogo interreligioso e di riflessione sul futuro dell’umanità. In questo contesto, pur mantenendo le sue radici nella tradizione biblica, il termine "giubileo" ha assunto una dimensione universale.

Giubileo - Apertura della Porta Santa

CORRUZIONE, etimologia e significato

L'origine ultima della parola corruzione si rintraccia nella radice protoindoeuropea r(e)up-, che significa "rompere", "spezzare" o "disintegrare". Questa radice è associata a termini in diverse lingue indoeuropee che condividono il significato di frattura, degradazione o perdita di integrità. Essa è alla base del verbo latino rumpere ("rompere"), dal quale deriva corrumpere. Il prefisso cor-, una forma assimilata di com-, indica "insieme" o "completamente", mentre rumpere mantiene il significato di "rompere". Il verbo corrumpere, dunque, significa letteralmente "rompere completamente" o "guastare completamente", con un'accezione che presto si estende all'idea di alterare, guastare o distruggere moralmente e fisicamente.
Il sostantivo corruptio, corruptionis viene derivato direttamente dal participio passato corruptus, che già in epoca classica era usato in senso figurato per indicare la degradazione morale, la corruzione politica o il decadimento materiale. Nella Roma repubblicana e imperiale, la corruptio era spesso associata al malgoverno, alla manipolazione elettorale e alla decadenza morale. Tacito e Cicerone usano frequentemente il termine per descrivere la decadenza delle istituzioni politiche e la perdita dei valori tradizionali. Il concetto di corruzione era inoltre profondamente legato al diritto: il termine indicava reati come il peculato e il clientelismo, pratiche che minavano l'integrità dello Stato. La corruptio morum ("degradazione dei costumi") era un tema centrale nella riflessione filosofica e politica di autori come Seneca, che la vedeva come il segno di una società in declino.
Con la caduta dell'Impero Romano e la trasformazione del latino volgare nelle lingue romanze, il termine corruptio viene progressivamente adattato. In italiano, già nei primi testi medievali, si incontra la forma corruzione, che conserva sia il significato letterale di alterazione materiale che quello figurato di degrado morale e sociale.
Nel Medioevo, la corruzione viene interpretata prevalentemente in chiave morale e teologica. La dottrina cristiana lega strettamente la corruzione al peccato originale, identificandola con la degenerazione dell'anima e con la caduta dell'uomo.
Con il Rinascimento, la parola acquisisce una dimensione politica più marcata. Machiavelli, ad esempio, usa il termine per indicare la degenerazione delle istituzioni repubblicane e la perdita della virtù civica, considerandola una delle principali cause del declino degli Stati.
In epoca moderna, il concetto di corruzione si diversifica ulteriormente. In ambito politico, diventa sinonimo di abuso di potere per guadagni privati, un tema cruciale negli studi di economia e scienze politiche. La parola viene associata anche a fenomeni come il nepotismo, il clientelismo e la frode. Nel XX e XXI secolo, il termine assume un significato globale, legandosi a temi come la trasparenza, la governance e lo sviluppo economico. Organizzazioni internazionali come Transparency International utilizzano il concetto di corruzione per misurare l'integrità dei governi e delle istituzioni in tutto il mondo.

Corruzione

DESTRA, etimologia e significato

La parola destra deriva dal latino dexter, dextra, che significa "che si trova sul lato destro" o "favorito, fortunato". Questa radice latina è riconducibile a una radice protoindoeuropea (PIE) fondamentale: *deḱs-, che indicava il concetto di "destra" e, per estensione simbolica, di "abilità" e "fortunato auspicio".
Anche in Sanscrito troviamo la parola  dakṣina (दक्षिण), che significa "destro", e talvolta "abile".
In greco antico: dexiós (δεξιός) denotava sia il lato destro sia il concetto di favore o opportunità.
Nelle società antiche, la distinzione tra destra e sinistra non era puramente descrittiva ma assumeva profonde implicazioni simboliche e sociali. Il lato destro era associato alla luce, al bene e alla forza, mentre il sinistro evocava oscurità, debolezza e pericolo. La "destra" ha storicamente rappresentato il lato favorevole o positivo, in contrasto con la "sinistra", associata spesso a sfavore o malaugurio. Questa dicotomia si trova radicata in molte culture indoeuropee.
Nelle cerimonie vediche, la mano destra (dakṣina hasta) era usata per offrire sacrifici agli dèi, simboleggiando purezza e precisione.
Nella religione romana, dexter rappresentava la fortuna e il favore divino. Gli auguri interpretavano i presagi osservando gli uccelli che volavano a destra come segni positivi.
Nella Bibbia cristiana, l’immagine di Cristo seduto alla destra del Padre rafforza l’idea della destra come lato del potere e della benedizione.
L'importanza della destra è rafforzata dall'essere il lato dominante nella maggior parte della popolazione (destrimani), rafforzando il suo legame simbolico con abilità e favore.
Il significato politico del termine "destra" emerse durante la Rivoluzione Francese (1789-1799). Nell'Assemblea Nazionale, i deputati si disponevano fisicamente in base alle loro opinioni politiche: i monarchici e i sostenitori dell'ordine tradizionale sedevano alla destra del presidente, posizione simbolica associata alla continuità e alla gerarchia. I sostenitori di riforme radicali sedevano alla sinistra, in opposizione ai conservatori. Da questo schema nacque l'associazione della "destra" con il conservatorismo e la protezione delle istituzioni tradizionali. Mentre la sinistra politica si associa al cambiamento, la destra rappresenta il mantenimento dell'ordine. 
Nel XIX secolo, la destra si identificò con i sostenitori della monarchia, dell’aristocrazia e della Chiesa cattolica, opponendosi ai movimenti democratici e repubblicani. Sul piano economico, la destra appoggiava il mercantilismo e i privilegi delle classi dominanti.
Nel XX secolo, la destra si diversificò, includendo correnti nazionaliste, liberiste e, in alcuni casi, autoritarie. In Europa, il fascismo e altre forme di autoritarismo furono catalogati come parte della destra estrema, sebbene con divergenze ideologiche rispetto alla destra tradizionale.
Nel XXI secolo, la destra politica rappresenta una vasta gamma di posizioni, dal conservatorismo moderato (basato su economia di mercato e valori tradizionali) al populismo di destra, che enfatizza sovranità nazionale e identità culturale.
La destra ha storicamente sostenuto l'economia di mercato, il libero mercato come strumento per favorire la crescita economica e individuale, la riduzione dell’intervento statale, meno regolamentazioni per incentivare l’iniziativa privata, la protezione della proprietà privata come principio centrale nelle politiche economiche della destra.
la destra

CENSURA, etimologia e significato

La parola censura deriva dal latino censūra, che a sua volta è collegato al verbo censēre. Quest'ultimo significava originariamente "stimare, valutare, esprimere un'opinione" e, per estensione, "dare un giudizio ufficiale". Il sostantivo censura indicava l'ufficio e le funzioni del censore, una figura chiave nell'amministrazione della Repubblica Romana. I censori erano magistrati incaricati di condurre il censimento (da cui il termine stesso), valutare il patrimonio dei cittadini e regolare i costumi pubblici attraverso la "nota censoria", un giudizio morale che poteva portare a sanzioni sociali o politiche. Il verbo censēre si collegava anche all'idea di deliberazione in ambito senatorio, dove implicava una valutazione ponderata e autorevole. Questo senso originario di "giudicare" e "valutare" è stato centrale nello sviluppo semantico della parola.
Il verbo latino censēre è riconducibile alla radice protoindoeuropea *kens-/kensd- che significava "proclamare solennemente, dichiarare, annunciare". 
Nel passaggio dal latino alle lingue romanze, censura ha mantenuto il significato di "giudizio" o "valutazione", ma si è ampliata per includere il controllo autoritario sull’espressione pubblica. Questo sviluppo è particolarmente evidente nel Medioevo e nell’età moderna, quando il termine ha acquisito un significato più specifico legato alla soppressione o modifica di informazioni, specialmente in ambito religioso e politico. Già nell’Impero Romano, la figura del censore iniziò ad assumere una funzione morale, con la possibilità di limitare determinati comportamenti sociali. Con l’ascesa del Cristianesimo e il consolidamento della Chiesa cattolica come potere dominante, il concetto di censura si estese ulteriormente. Nel Medioevo, la censura religiosa divenne uno strumento cruciale per combattere l’eresia e garantire l’ortodossia dottrinale. Documenti come il Decretum Gratiani e, successivamente, le deliberazioni dei Concili, sancirono formalmente il diritto della Chiesa di controllare i testi religiosi.
L’introduzione dell’Indice dei libri proibiti nel 1559, sotto Papa Paolo IV, rappresentò un punto di svolta nella storia della censura, formalizzando una lista di opere considerate pericolose per la fede. Questo periodo vide una sistematizzazione del controllo sull’informazione, in parallelo con lo sviluppo della stampa, che rese la diffusione delle idee più rapida e difficile da controllare.
Con l’avvento dell’età moderna, la censura si spostò progressivamente dal dominio esclusivamente religioso a quello politico. Durante l’Illuminismo, ad esempio, monarchie assolute come quelle di Francia e Austria utilizzarono la censura per reprimere le idee rivoluzionarie. La Rivoluzione francese portò con sé una momentanea liberazione dal controllo censurante, ma ben presto i governi successivi, incluso quello napoleonico, reintrodussero rigidi meccanismi di controllo sull’informazione.
Nel XIX secolo, con la diffusione della stampa e la nascita dei moderni stati-nazioni, la censura si evolse ulteriormente. Regimi autoritari, come quello stalinista in Russia, quello fascista in Italia e quello nazista in Germania, usarono la censura come strumento di propaganda e repressione politica. Parallelamente, l’idea di libertà di stampa iniziò a guadagnare terreno nei paesi democratici, pur con limiti imposti da esigenze di sicurezza nazionale o morale pubblica.
Nel XX e XXI secolo, la censura ha assunto nuove forme con l’avvento dei media digitali e dei social network. Governi autoritari continuano a esercitare un controllo stretto sulle informazioni, mentre nei contesti democratici il dibattito si concentra sul bilanciamento tra libertà di espressione e regolamentazione di contenuti dannosi.

Censura

IELLA o JELLA, etimologia e significato

La parola iella deriva direttamente dal napoletano jella, a sua volta una forma dialettale di uso comune. L'etimologia del termine è alquanto oscura. Tuttavia, una delle ipotesi più accreditate ci porta al latino medievale aegilia, che indicava il "malocchio" o un "sortilegio". Questo termine latino sembra essere un adattamento di una parola greca: αἰγιλλα (aigílla), che significa "malocchio" o "sventura". Questo collegamento è emblematico della profonda influenza che la cultura greca ha avuto sul lessico del Mediterraneo, specialmente nelle aree del sud Italia. Quando il latino medievale assorbì influenze dal greco, specialmente nelle regioni sotto il dominio bizantino come l’Italia meridionale, termini simili a  furono adattati nel lessico latino. Aegilia potrebbe essere stata una di queste trasformazioni, utilizzata per descrivere fenomeni legati al malocchio in contesti popolari o ritualistici. Nel passaggio dal latino medievale al napoletano, aegilia potrebbe essersi trasformato in jella attraverso fenomeni fonetici come l’elisione e la semplificazione consonantica. Ad esempio, il passaggio da ae a je è tipico della fonetica delle lingue romanze meridionali, che tendono a semplificare i dittonghi latini.

La radice protoindoeuropea (PIE) più plausibilmente connessa alla parola iella è *h₁eyg-  che ha il significato di "guardare" o "osservare". 

Questa radice PIE è ricostruita come correlata alla vista o all'osservazione. Si manifesta in diverse lingue derivate: 

  • In greco, con ἰδεῖν (idein) "vedere";
  • In latino, con invidēre ("guardare contro" o "invidiare"), che combina in- (contro) e vidēre (vedere), suggerendo uno sguardo malevolo.
  • In sanscrito, con parole come īkṣate ("osserva").

Il passaggio dalla radice PIE al greco potrebbe aver dato origine a termini legati alla vista e al malocchio, come ἰαλλω (iállō) cioè "lanciare" o "gettare", forse in senso metaforico come "gettare un'influenza negativa"). 

Un'altra ipotesi sull'etimologia della parola iella o jella  individua nell'alterazione del pronome ella cioè "quella", usato come designazione eufemistica della sfortuna, per evitare scaramanticamente di pronunciarne il nome.

L’uso di jella come iella nell’italiano standard è stato favorito dalla letteratura e dai media del XIX e XX secolo. Scrittori come Eduardo De Filippo hanno incorporato termini dialettali nelle loro opere, contribuendo a diffondere il termine oltre i confini regionali. Inoltre, l’emergere di una cultura popolare italiana unificata, grazie ai mezzi di comunicazione di massa, ha permesso a termini come iella di entrare nel lessico colloquiale nazionale.

Jella