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GLORIA

L'etimologia della parola gloria ci riconduce alla radice indoeuropea klu- (çru- che troviamo nel sanscrito  con il significato di "farsi udire", "risuonare" e poi nel greco con la parola κλέος (kleos) , concetto centrale nella cultura eroica, che si riferiva alla fama, alla rinomanza o alla lode acquisita attraverso le imprese eroiche compiute da un individuo o da un'intera comunità. Nell'antica Grecia, il kleos era particolarmente importante per gli eroi e i guerrieri che cercavano di ottenere una reputazione immortale attraverso azioni valorose in battaglia o imprese straordinarie. La fama eroica era considerata un modo per la memoria di un individuo di sopravvivere anche dopo la morte. Quando il termine passò al latino come "gloria", mantenne il concetto di fama e rinomanza, ma si estese per includere anche il concetto di onore e prestigio. La gloria era vista come un'alta considerazione o una stima conferita a una persona per i suoi meriti, i suoi successi o le sue virtù. Nel contesto religioso, la parola gloria acquisì valore spirituale. Ad esempio, nella tradizione cristiana, la gloria di Dio rappresenta la manifestazione della potenza e della grandezza divina. 

La gloria

SARCASMO

Il termine "sarcasmo" ha radici etimologiche risalenti alla lingua greca classica. Infatti, il verbo greco antico "σαρκάζω" (sarkázō), che deriva dalla parola "σάρξ" (sárx), che significa "carne", aveva originariamente il significato di "strappare la carne" o "mordere la carne".Il  termine "σαρκάζω" che veniva utilizzato per descrivere l'azione fisica di strappare o lacerare la carne, nel corso del tempo, finì per indicare un tipo di linguaggio o umorismo che "strappa" o "lacera" in senso figurato. Il sarcasmo è una forma di comunicazione in cui si esprime un significato diverso da quello letterale delle parole, spesso con l'intento di ridicolizzare o criticare qualcuno o qualcosa. Viene utilizzato per incattivire l'ironia o per esprimere disapprovazione in modo tagliente. A differenza dell'ironia che consiste nell'affermazione di un qualcosa che però sta a significare il suo contrario, il sarcasmo sta ad indicare un'affermazione volontariamente beffarda e mordaceIn Grecia antica, il sarcasmo era spesso utilizzato in contesti retorici e letterari. La parola "sarcasmo" fu successivamente adottata nelle lingue europee attraverso il latino "sarcasmus" e  il francese "sarcasme" durante il Rinascimento. Da lì, è stata assorbita dalle lingue moderne, tra cui l'italiano, l'inglese, il tedesco e altre. 

Il sarcasmo

CREDERE

L'etimologia della parola CREDERE risale al latino crēdĕre, infinito presente di credo, a sua volta, dal proto-italico *krezdō, discendente del proto-indoeuropeo *ḱred dʰeh₁- (composto di *ḱḗr, "cuore", stessa radice del latino "cor") e *dʰeh₁-, "mettere, stabilire", ovvero "mettere il cuore in" e dunque "fidarsi, affidarsi, avere fiducia in".

Nel latino classico, "credere" aveva un significato ampio che comprendeva sia la fede religiosa che la fiducia nelle persone o nelle informazioni. Era spesso associato all'idea di accettare qualcosa come vero o affidabile sulla base di una certa autorità o evidenza. Con il passare del tempo, il termine "credere" ha acquisito una connotazione più specifica nel contesto religioso, dove si riferisce alla fede in un dio o in una dottrina religiosa. Tuttavia, il concetto di fiducia e convinzione interiore rimane al centro del significato di "credere".

Pertanto, credere ha una doppia accezione: 

  1. credere inteso come convinzione intellettuale che un avvenimento o qualcuno o qualcosa sia reale, vero; (aspetto razionale del credere, sulla base di un ragionamento);
  2. credere inteso come "mettere il cuore", cioè fidarsi, avere fiducia (aspetto sentimentale del credere, sulla base del sentimento di amorevole fiducia verso qualcuno o verso qualcosa).
Mentre la prima accezione può verificarsi indipendentemente dalla seconda, quest'ultima non può che sottendere ed implicare anche la prima. 

Credere...

AFORISMA

L'etimologia della parola "aforisma" deriva dal termine greco antico "ἀφορισμός" (aphorismós), che a sua volta ha radici nel verbo "ἀφορίζειν" (aphorízein). Quest'ultimo verbo è composto da due elementi: "ἀπό" (apó), che significa "da" e "ὁρίζειν" (horízein), che significa "separare" o "distinguere". Quindi, "ἀφορίζειν" (aphorízein) implica l'atto di separare o distinguere qualcosa da qualcos'altro. Il termine "ἀφορισμός" (aphorismós) è stato utilizzato in diversi contesti nel mondo antico, ma è stato principalmente associato al campo della medicina e alla filosofia. Nella medicina, il famoso medico greco Ippocrate (circa 460-370 a.C.) ha scritto una serie di opere, tra cui l'opera chiamata "Aforismi di Ippocrate" (Ἰπποκράτους Ἀφορισμοί, Ippokrátous Aphorismoi),  una raccolta di brevi sentenze che esprimevano principi e insegnamenti medici. Questi aforismi rappresentavano sinteticamente le sue osservazioni e le sue esperienze nel campo della medicina. Nel contesto filosofico, l'uso del termine "aforisma" è stato associato a pensatori come Eraclito e Pitagora. Eraclito, un filosofo pre-socratico, era noto per le sue affermazioni concise e criptiche che esprimevano la sua concezione del mondo in modo enigmatico. I suoi aforismi erano frasi brevi e taglienti che esprimevano il suo pensiero profondo e provocatorio. Inoltre, Pitagora, il filosofo e matematico greco antico, utilizzava anche aforismi per comunicare i suoi insegnamenti. Le sue massime erano concise, memorabili e spesso contenevano una verità universale. Nel corso dei secoli, il termine "aforisma" è stato adottato nella letteratura e nell'arte come una forma di espressione breve ma significativa. Gli aforismi sono diventati una forma di comunicazione che sintetizza saggezza, intuizioni o osservazioni profonde in una singola frase. Sono spesso utilizzati per catturare un'idea complessa in modo conciso ed efficace. Il concetto di separazione o distinzione, già sopra accennato, si è evoluto nel significato moderno di un'asserzione breve e incisiva che comunica saggezza o verità. Gli aforismi sono diventati un genere letterario a sé stante, con molti autori famosi che hanno scritto raccolte di aforismi. Tra gli esempi più noti vi sono i "Pensieri" di Blaise Pascal, le "Massime" di François de La Rochefoucauld e i "Maximes" di François de La Bruyère. Queste opere contengono una serie di aforismi che esplorano vari aspetti della vita, della morale e della società. È interessante notare che la natura stessa degli aforismi, con la loro brevità e la loro capacità di condensare concetti complessi in poche parole, riflette l'essenza stessa della parola "aforisma". Il termine stesso suggerisce un atto di separazione o distinzione, che avviene quando si estrae e si definisce un'idea essenziale o una verità fondamentale dalla massa di informazioni o concetti circostanti. 

Ἰπποκράτους Ἀφορισμοί (Aforismi di Ippocrate)

MATTEO

L'etimologia del nome Matteo dev'essere ricondotta all'ebraico antico. Infatti, Matteo deriva dal termine ebraico "Matityahu" (מַתִּתְיָהוּ), composto da due elementi: "matith" che significa "dono" o "regalo" e "Yahweh" che è il nome divino ebraico per indicare il Signore. Quindi, il significato complessivo del nome Matteo può essere interpretato come "dono di Yahweh" o "regalo di Dio". Il nome Matteo  appare anche nel Nuovo Testamento: Matteo era uno dei dodici apostoli di Gesù Cristo ed è considerato l'autore di uno dei quattro vangeli canonici. Latinizzato nella forma Matthaeus, sulla base dell'adattamento greco Ματθαίος (Matthaios), il nome Matteo condivide la stessa origine dei nomi Mattia, Maffeo e Mazzeo. Il nome Matteo è diffuso in molte lingue e culture e ha diverse varianti, come Matthew in inglese, Mathieu in francese e Mateo in spagnolo. L'onomastico  si festeggia il 21 settembre (per i cattolici) o il 16 novembre (per gli ortodossi) in ricordo di san Matteo, apostolo ed evangelista.

Caravaggio, San Matteo e l'angelo

TISANA

L'etimologia della parola "tisana" si ricollega al latino "tisanum" che a sua volta ha origine dal termine greco antico πτισάνη (ptisane) = decotto d’orzo..  La πτισάνη era una bevanda ottenuta facendo bollire erbe o piante in acqua, comunemente utilizzata per scopi medicinali, ma poteva anche essere consumata anche come bevanda rinfrescante. Durante l'era romana, la pratica di preparare e consumare tisane si diffuse ampiamente. La medicina greco-romana attribuiva alle erbe proprietà terapeutiche e curative, e le tisane venivano utilizzate per trattare una vasta gamma di disturbi e malattie. Con il passare dei secoli, il termine "ptisane" venne latinizzato in "tisanum" o "tisanus" nel latino medievale. In questo contesto, il significato della parola si estese per includere anche altre bevande a base di erbe, come decotti e infusi. Con il tempo, il termine "tisana" si è diffuso nelle lingue europee, mantenendo il significato originario di una bevanda ottenuta da infusi o decotti di erbe o piante, generalmente utilizzata per scopi terapeutici, curativi o per il benessere. Anche oggi, la parola "tisana" viene utilizzata ampiamente per riferirsi a una bevanda preparata con erbe, fiori, foglie o altre parti di piante. Si possono ottenete sua per infuso, sia per decotto. Nel primo caso, le erbe (di solito le parti più tenere e delicate della pianta come foglie, fiori, petali di fiori, gemme) vengono lasciate in infusione per alcuni minuti nell'acqua portata ad ebollizione ma a fuoco spento. In caso di decotto, invece, le erbe (di solito le  parti coriacee della pianta, come cortecce, radici, semi) si fanno cuocere in acqua bollente, a fuoco acceso, per alcuni minuti. Le tisane possono essere consumate per il loro sapore, ma sono spesso apprezzate anche per le proprietà terapeutiche che si attribuiscono loro, come calmare la digestione, favorire il sonno o alleviare il raffreddore. 

Tazza di tisana

IPOCONDRIA

L'etimologia della parola IPOCONDRIA ci riporta alla lingua greca antica. Essa è composta da due parti: il prefisso ὑπό (hypo-) = sotto +  la parola χόνδρος (chondros) = cartilagine (in particolare, la cartilagine delle costole). Pertanto, la parola "ipocondria" letteralmente significa "al di sotto delle costole". Infatti, questo termine era usato nell'antichità per indicare l'area del corpo umano situata sotto le costole, che comprende il fegato, lo stomaco e altri organi interni. Nella medicina greca antica, gli "ipocondri" erano considerati la sede di alcune funzioni vitali, come la digestione e la respirazione. I medici dell'epoca ritenevano che gli squilibri in queste funzioni potessero causare sintomi di malessere e ansia. Nell'antica Grecia, la medicina era basata sulla teoria degli umori, in base alla quale il corpo umano si considerava composto da quattro umori principali: sangue, flegma, bile gialla e bile nera. La salute era considerata un equilibrio tra questi umori, e la malattia era vista come il risultato di uno squilibrio. I medici greci, come Ippocrate e Galeno, credevano, come già accennato, che gli ipocondri fossero la sede di alcune funzioni vitali, quali la digestione e la respirazione, e che fossero particolarmente sensibili agli squilibri degli umori. Ad esempio, si riteneva che un eccesso di bile nera negli ipocondri potesse causare malinconia e depressione. Nel corso dei secoli, il concetto di ipocondria si è evoluto e ha assunto diverse sfumature. Durante il Rinascimento, la parola "ipocondria" veniva spesso usata per descrivere una condizione di tristezza e malinconia profonda, che si riteneva fosse causata da uno squilibrio degli umori negli ipocondri. Nel XVII e XVIII secolo, l'ipocondria divenne un termine più ampio per descrivere una varietà di sintomi fisici e psicologici, spesso associati a preoccupazioni eccessive per la salute. In questo periodo, l'ipocondria era considerata una malattia reale e veniva trattata con una serie di terapie, tra cui diete, purghe e sanguisughe. Con l'avvento della medicina moderna e la comprensione delle cause biologiche, psicologiche e psicosomatiche delle malattie, il concetto di ipocondria si è ulteriormente evoluto. Oggi, l'ipocondria è conosciuta come disturbo d'ansia da malattia, una condizione caratterizzata da preoccupazioni eccessive e persistenti riguardo alla propria salute, nonostante l'assenza di sintomi gravi o di una diagnosi medica.

Il malato immaginario, visto da Honoré Daumier