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CENSURA, etimologia e significato

La parola censura deriva dal latino censūra, che a sua volta è collegato al verbo censēre. Quest'ultimo significava originariamente "stimare, valutare, esprimere un'opinione" e, per estensione, "dare un giudizio ufficiale". Il sostantivo censura indicava l'ufficio e le funzioni del censore, una figura chiave nell'amministrazione della Repubblica Romana. I censori erano magistrati incaricati di condurre il censimento (da cui il termine stesso), valutare il patrimonio dei cittadini e regolare i costumi pubblici attraverso la "nota censoria", un giudizio morale che poteva portare a sanzioni sociali o politiche. Il verbo censēre si collegava anche all'idea di deliberazione in ambito senatorio, dove implicava una valutazione ponderata e autorevole. Questo senso originario di "giudicare" e "valutare" è stato centrale nello sviluppo semantico della parola.
Il verbo latino censēre è riconducibile alla radice protoindoeuropea *kens-/kensd- che significava "proclamare solennemente, dichiarare, annunciare". 
Nel passaggio dal latino alle lingue romanze, censura ha mantenuto il significato di "giudizio" o "valutazione", ma si è ampliata per includere il controllo autoritario sull’espressione pubblica. Questo sviluppo è particolarmente evidente nel Medioevo e nell’età moderna, quando il termine ha acquisito un significato più specifico legato alla soppressione o modifica di informazioni, specialmente in ambito religioso e politico. Già nell’Impero Romano, la figura del censore iniziò ad assumere una funzione morale, con la possibilità di limitare determinati comportamenti sociali. Con l’ascesa del Cristianesimo e il consolidamento della Chiesa cattolica come potere dominante, il concetto di censura si estese ulteriormente. Nel Medioevo, la censura religiosa divenne uno strumento cruciale per combattere l’eresia e garantire l’ortodossia dottrinale. Documenti come il Decretum Gratiani e, successivamente, le deliberazioni dei Concili, sancirono formalmente il diritto della Chiesa di controllare i testi religiosi.
L’introduzione dell’Indice dei libri proibiti nel 1559, sotto Papa Paolo IV, rappresentò un punto di svolta nella storia della censura, formalizzando una lista di opere considerate pericolose per la fede. Questo periodo vide una sistematizzazione del controllo sull’informazione, in parallelo con lo sviluppo della stampa, che rese la diffusione delle idee più rapida e difficile da controllare.
Con l’avvento dell’età moderna, la censura si spostò progressivamente dal dominio esclusivamente religioso a quello politico. Durante l’Illuminismo, ad esempio, monarchie assolute come quelle di Francia e Austria utilizzarono la censura per reprimere le idee rivoluzionarie. La Rivoluzione francese portò con sé una momentanea liberazione dal controllo censurante, ma ben presto i governi successivi, incluso quello napoleonico, reintrodussero rigidi meccanismi di controllo sull’informazione.
Nel XIX secolo, con la diffusione della stampa e la nascita dei moderni stati-nazioni, la censura si evolse ulteriormente. Regimi autoritari, come quello stalinista in Russia, quello fascista in Italia e quello nazista in Germania, usarono la censura come strumento di propaganda e repressione politica. Parallelamente, l’idea di libertà di stampa iniziò a guadagnare terreno nei paesi democratici, pur con limiti imposti da esigenze di sicurezza nazionale o morale pubblica.
Nel XX e XXI secolo, la censura ha assunto nuove forme con l’avvento dei media digitali e dei social network. Governi autoritari continuano a esercitare un controllo stretto sulle informazioni, mentre nei contesti democratici il dibattito si concentra sul bilanciamento tra libertà di espressione e regolamentazione di contenuti dannosi.

Censura

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