Il termine forfora deriva dal latino furfur, un nome comune usato per indicare la crusca o la farina. La scelta di furfur per indicare una condizione di desquamazione cutanea è probabilmente legata alla sua consistenza e aspetto granuloso, simile alle piccole scaglie di pelle che si trovano sul cuoio capelluto. Inoltre, nell’uso di furfur in contesto medico si riflette una tipica metafora naturalistica romana, che descriveva la realtà fisica con riferimenti alla natura agricola. In latino, la parola "furfur" è attestata nei testi agricoli e nelle descrizioni dei processi di lavorazione dei cereali, dove il termine è spesso usato nel senso letterale di "scaglie" o "polveri". L’uso figurativo di furfur per indicare una desquamazione cutanea è attestato anche nel latino tardo-medievale, dove diviene un termine descrittivo utilizzato dai medici e dagli erboristi, in parallelo con il senso di "scaglie" per indicare formazioni epidermiche in varie zone del corpo, non solo sul cuoio capelluto. Durante il Medioevo, la medicina era profondamente influenzata dalle teorie umorali e simboliche. In questo contesto, la forfora era vista come il segno di uno squilibrio umorale, associata a un eccesso di calore o secchezza, o persino di "mancanza di purificazione interna". Questa interpretazione era spesso legata all’idea che i segni visibili sulla pelle fossero manifestazioni di impurità o malattie interne. La desquamazione del cuoio capelluto poteva anche assumere significati morali o religiosi: scaglie e croste erano talvolta intese come segni di impurità dell’anima, particolarmente in certi contesti ascetici, dove si legava la pulizia fisica alla purezza spirituale. Nel latino medievale, furfur appare in trattati medici che descrivono le malattie della pelle. I medici di scuola salernitana, come la celebre Trotula de’ Ruggiero, facevano riferimento a un’ampia varietà di condizioni cutanee, tra cui la furfuratio, ovvero la desquamazione cronica, come segno di disfunzioni corporee. Con il passaggio al Rinascimento, epoca caratterizzata dal recupero delle fonti antiche e dalla rinascita delle arti mediche greco-latine, il termine forfora inizia ad essere traslitterato direttamente dal latino furfur in italiano volgare, assumendo gradualmente il significato moderno. Nei testi medici di questo periodo, come i trattati di Girolamo Mercuriale (1530-1606), il termine è utilizzato con precisione per indicare una condizione specifica della cute, ormai descritta in modo scientifico. Mercuriale descrive la furfuratio del cuoio capelluto come legata sia a cause esterne (quali l’igiene insufficiente e l’alimentazione) sia a cause interne (come gli squilibri umorali). Con l’avvento della moderna medicina e l’espansione delle conoscenze microbiologiche, la comprensione della forfora subisce un ulteriore cambiamento. Negli studi del XIX e XX secolo, gli scienziati scoprono che la forfora è spesso causata da un fungo della pelle, il "Malassezia furfur", il cui nome scientifico è un omaggio all’etimo latino, mantenendo la connessione storica tra la parola e il fenomeno della desquamazione. Con l’introduzione del termine forfora nella dermatologia moderna, la parola assume un significato clinico preciso, descrivendo il disturbo del cuoio capelluto che tutti conosciamo.
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