La parola culo, che nell'italiano moderno si riferisce in maniera colloquiale o informale alla parte posteriore del corpo umano (le natiche o il sedere), ha una storia etimologica che affonda le sue radici nelle lingue indoeuropee e porta con sé significati che si sono stratificati nel tempo. Essa deriva dal latino "culus", che indicava il sedere o il fondo di qualcosa, un significato esteso che poteva riferirsi tanto alla parte terminale del corpo umano quanto alla parte posteriore di oggetti inanimati, come recipienti o contenitori. Il termine si ritrova in espressioni idiomatiche, spesso con accezioni di sfondo umoristico o volgare. Ad esempio, post culum mundi significava “alla fine del mondo” (letteralmente: “dietro il sedere del mondo”). Il latino "culus" si riconnette a una radice protoindoeuropea ricostruita come (k)u(e)-/kewl-, che porta con sé il senso di "piegare", "curvare" o "essere arrotondato". Questa radice è significativa perché riflette sia il concetto fisico della curvatura (che si adatta perfettamente alla forma del sedere) sia il significato esteso di "parte terminale" o "bordo". Infatti, in sanscrito: La radice kūṭa- (कूट), che significa "monticello", "collina" o "protuberanza", può essere correlata alla stessa idea di qualcosa che sporge o si curva. In greco antico: La parola κῶλον (kôlon), che significa "arto", "segmento" o "parte del corpo", potrebbe avere un collegamento etimologico. Pur non indicando esplicitamente il sedere, il termine è affine al concetto di "parte", in particolare di una sezione fisica delimitata. Con l’evoluzione delle lingue romanze, "culus" ha subito processi di adattamento fonetico e semantico: nel volgare latino, "culus" rimase invariato nella forma e nell’uso, ma la sua carica espressiva si rafforzò in ambito popolare e colloquiale. In italiano antico, il termine "culo" appare già attestato in testi di natura comica o licenziosa, spesso per sottolineare situazioni fisiche o umoristiche legate al corpo umano.
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