La parola abbindolare: chi non l'ha mai sentita? "Non farti abbindolare da quel venditore!", diciamo, oppure "Si è lasciato abbindolare dalle sue promesse". Ma pochi sanno che dietro questo verbo apparentemente semplice si cela un viaggio incredibile attraverso millenni di storia umana, che ci porta dalle antiche tribù protoindoeuropee fino agli artigiani italiani del Medioevo. La storia inizia con un oggetto umilissimo: il bindolo, cioè l'arcolaio, quello strumento che le nostre nonne usavano per avvolgere ordinatamente il filo in gomitoli. Chi ha mai visto lavorare al telaio sa bene com'è fatto: una struttura di legno con delle stecche su cui il filo viene riavvolto, girando e rigirando, in movimenti ipnotici e continui. Ed è proprio qui che nasce la magia linguistica. I nostri antenati, osservando questo movimento circolare, continuo e un po' ossessivo del filo che si avvolge su se stesso, ci hanno visto qualcosa di familiare: il modo in cui una persona astuta "avvolge" la sua vittima con parole seducenti, facendola girare in tondo fino a confonderla completamente.
Ma da dove arriva la parola bindolo? Tutto inizia circa 6000 anni fa, quando i nostri lontanissimi antenati protoindoeuropei - quelli che parlavano la lingua madre da cui sono nate tutte le lingue europee e molte asiatiche - usavano una radice chiamata **wendh-** che significava "girare, avvolgere, torcere". La radice **wendh-** non rimase ferma. I popoli germanici la ereditarono, facendola diventare **windaną**, che voleva dire "avvolgere, girare". Da questa parola germanica nacquero tanti termini che usiamo ancora oggi: l'inglese "wind" (avvolgere), il tedesco "winden" (torcere), e soprattutto l'alto tedesco antico "winde", che indicava proprio un argano, una macchina per sollevare pesi.
Durante le grandi migrazioni del primo millennio dopo Cristo, i popoli germanici entrarono in contatto stretto con il mondo romano. Longobardi, Goti, Franchi non portarono solo le loro armi e le loro leggi, ma anche le loro parole. Il termine germanico "winde" (argano, macchina per sollevare) si adattò alla lingua italiana diventando prima "binda" - che ancora oggi in alcune regioni del Nord significa "martinetto" - e poi "bindolo". Il passaggio dalla "w" germanica alla "b" italiana è un fenomeno normalissimo: è lo stesso che troviamo in "guerra" (dal germanico "werra") o in "guardia" (dal germanico "wardja"). Una volta in Italia, la parola cambiò significato. Se in origine "winde" indicava genericamente un argano per sollevare pesi, in italiano "bindolo" indicò specificamente l'arcolaio, quello strumento che serviva per avvolgere i fili. Da ciò, il significato metaforico: così come il filo viene "abbindolato" sull'arcolaio - avvolto, riavvolto, fatto girare in tondo fino a perdere il capo e la coda - allo stesso modo una persona astuta può "abbindolare" la sua vittima con parole seducenti, facendole perdere il senso dell'orientamento. I dizionari più autorevoli - dal Grande Dizionario della Lingua Italiana dell'Accademia della Crusca al Dizionario Etimologico di Cortelazzo e Zolli - confermano tutti questa ricostruzione. Non ci sono altre teorie plausibili: quando usiamo abbindolare, stiamo inconsapevolmente celebrando la genialità linguistica dei nostri predecessori, che sono riusciti a cogliere l'analogia perfetta tra il movimento ipnotico del bindolo e il meccanismo psicologico dell'inganno.
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