La parola italiana ordine deriva direttamente dal latino ordo, ordinis – un sostantivo maschile che gli antichi Romani usavano per indicare una "fila" o una "schiera", ma anche il "rango" di una persona, la sua posizione sociale. Cicerone, il grande oratore romano, ci definisce precisamente cosa significasse: "compositionem rerum aptis et accommodatis locis" – cioè "l'arrangiarsi delle cose nei loro posti appropriati". Una definizione che è tutto fuorché banale. Ordo non significa semplicemente "fila", ma piuttosto "fila di cose messe in modo sensato, dove ogni cosa ha il suo posto giusto". Non è ordine arbitrario, bensì ordine razionale, ordinato secondo una logica interna. Se vogliamo capire il vero significato originario di ordo, dobbiamo guardare al verbo latino: ordiri, che significa "cominciare a tessere". Pensate a quello che fa una tessitrice quando si prepara a creare un tessuto. Prima di tutto, deve disporre sul telaio i fili verticali – quelli che gli Italiani chiamano ordito, dal latino orditus, participio passato di ordiri. Questi fili devono essere distesi con cura, paralleli, tesi alla giusta tensione, allineati perfettamente. Solo dopo aver disposto i fili dell'ordito in questo ordine rigoroso, si può cominciare a tessere, intrecciando i fili orizzontali della trama. Quindi, la parola "ordine" viene dal mondo del telaio, dal momento iniziale in cui la tessitrice prepara la base del tessuto. Da notare come il verbo ordiri non significa solo "disporre i fili", ma più generalmente "cominciare un'impresa". Dalla tessitura, il concetto si estende: iniziare qualcosa vuol dire "mettere le basi in ordine", proprio come la tessitrice prepara l'ordito.
Gli studiosi di linguistica comparativa hanno dimostrato che il latino ordo non è il punto di origine. Sia il latino che il sanscrito antico, così come il greco, l'armeno e le lingue germaniche, derivano tutti da una radice ancora più antica, il protoindoeuropeo (abbreviato con PIE), la lingua parlata circa 6.000-7.000 anni fa dalle popolazioni che abitavano intorno al Caucaso e al Mar Nero. Questa radice protoindoeuropea si scrive convenzionalmente come *h₂er- e significa fondamentalmente "unire, adattare insieme, far combaciare".Comparando le lingue figlie. Nel sanscrito dell'India più antica, la lingua sacra dei Veda (testi religiosi composti tra il 1500 e il 1000 a.C., i più antichi documenti letterari del mondo indoeuropeo, la radice PIE *h₂er- genera il termine ऋत, trascritto come ṛta-. Qui il significato non rimane "unire, adattare", ma si trasforma in qualcosa di sublime. Ṛta- significa "ordine cosmico", il principio universale che governa l'universo intero.
Una delle evoluzioni semantiche più interessanti è come dal significato concreto "unire, adattare insieme" si sviluppi gradualmente il significato astratto "rettitudine, verità, ordine giusto". Nel sanscrito vedico, vediamo questo processo quasi in tempo reale. Ṛta- parte da un significato cosmico-fisico (l'ordine dei cicli celesti) e diventa gradualmente il principio della rettitudine morale. Non è che il significato cambi radicalmente – è una progressiva astrazione della stessa idea: ciò che è "appropriatamente unito insieme" nel cosmo è anche la "rettitudine" nel comportamento umano. Il latino rectus (dritto, giusto) riflette lo stesso processo: "retto" letteralmente significa "raddrizzato, dritto" (come una linea), ma metaforicamente significa "giusto, corretto".
Nellla Roma antica, la metafora tessile iniziale di ordo si espanse verso significati sociali e politici. "Ordine" viene a designare il rango, la classe sociale: nell'antica Roma, gli ordines erano le classi sociali ben definite – l'ordo senatorius (l'ordine senatoriale), l'ordo equestris (l'ordine equestre), l'ordo plebeiorum (l'ordine dei plebei). Ogni ordine aveva le sue prerogative, i suoi doveri, il suo posto nella società. Da notare come il concetto originale rimanga: così come i fili dell'ordito devono stare in fila, ordinati e allineati, anche gli individui nella società devono stare al loro "ordine" – al loro posto nella gerarchia. La metafora della tessitura si trasforma in metafora della società organizzata. Più tardi, il cristianesimo applicherà lo stesso termine agli ordini religiosi: i Domenicani, i Francescani, i Benedettini – come comunità di religiosi che vivono secondo una regola (regula), cioè un ordine, un insieme di norme che organizzano la vita comunitaria proprio come i fili organizzano la tessitura.
Quando l'etimologo esamina come una parola viene usata nello spazio pubblico e politico, scopre qualcosa di interessante: una stessa parola può diventare uno specchio di visioni del mondo diametralmente opposte. La parola ordine] è uno dei casi più illuminanti, perché in essa si concentra uno dei conflitti politici più profondi e duraturo della modernità. Se durante la Rivoluzione Francese un conservatore pronunciava la parola "ordine", intendeva una cosa ben precisa. Se a pronunciarla era un rivoluzionario, il significato cambiava completamente. E oggi, più di due secoli dopo, quella frattura semantica persiste, pur assumendo forme nuove.
Quando la destra politica utilizza la parola ordine], carica questa parola di significati ben specifici: per la visione conservatrice, l'ordine non è qualcosa di artificiale o costruito, bensì la riflessione nell'organizzazione sociale di gerarchie e diseguaglianze che sono "naturali", "inevitabili", "normali". Il mondo, insomma, per natura tende verso una strutturazione gerarchica. Le persone hanno capacità diverse, ambizioni diverse, e questa diversità si traduce naturalmente in una struttura piramidale dove alcuni comandano e altri obbediscono. Questa concezione affonda le radici nella tradizione medievale, ancora viva nel conservatorismo moderno: l' ordo saeculorum – l'ordine dei secoli – come struttura divina e immutabile della realtà. I tre ordini medievali (clero, nobiltà, popolo) erano visti non come imposizioni arbitrarie, ma come corrispondenti a funzioni diverse naturalmente necessarie nella società. Per il conservatore, l'ordine è legato indissolubilmente alla conservazione, al rallentamento del cambiamento. Un conservatore francese del XVIII secolo direbbe: l'Ancien Régime rappresenta l'ordine – non perché sia perfetto, ma perché è testato dal tempo, collaudato dalla storia, pratico e funzionante. Il motto dei teologi medievali, traslato in politica, è significativo: "Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus" (ciò che è sempre stato, dovunque, da tutti) – la caratteristica dell'ordine tradizionale. Nella visione di destra, l'ordine si contrappone al caos, all'anarchia, alla dissoluzione. Senza ordine, senza gerarchia, senza autorità che impone regole, subentra il caos – inteso come uno stato di guerra di tutti contro tutti, di diritti confliggenti senza risoluzione, di desideri scontenti che generano violenza. L'ordine, quindi, è ciò che salva la società dalla disgregazione. Ecco perché i conservatori, storicamente, usano la parola "ordine" per stigmatizzare i movimenti di sinistra: per loro, le rivoluzioni portano "disordine", la dissoluzione di strutture collaudate, il caos.
Quando la sinistra politica pronuncia la parola ordine, essa carica il significato in modo completamente diverso: per la sinistra, l'ordine non è naturale – è costruito, razionale, volontario. L'ordine non emerge da gerarchie immutabili, ma da una disposizione intelligente delle cose secondo il principio della giustizia e dell'uguaglianza. Se riprendiamo la definizione di Cicerone che abbiamo esaminato all'inizio – "la composizione delle cose nei loro posti appropriati" – la sinistra la reinterpreta: cosa significa "appropriato"? Non "appropriato per natura", ma "appropriato secondo la giustizia, secondo la ragione". Per i conservatori, l'ordine è ciò che esiste già; per i rivoluzionari, l'ordine è ciò che deve ancora essere costruito. Entrambi aspirano all'ordine – ma hanno visioni diametralmente opposte di cosa esso sia. Un aspetto cruciale della concezione di sinistra è che l'ordine deve essere equo, cioè egualitario. Se la destra vede naturale una piramide con pochi al vertice e molti alla base, la sinistra dice: questo non è ordine, è ingiustizia organizzata. La sinistra propone cioè un ordine dove le risorse siano distribuite secondo criteri di equità, dove i diritti siano uguali per tutti, dove la gerarchia sia ridotta al minimo. In questo senso, la parola "ordine" per la sinistra significa "coordinamento dei mezzi per il bene comune", come un' orchestra dove ogni strumento ha pari dignità. Qui c'è un elemento temporale da sottolineare dal punto di vista etimologico. Come già accennato, il latino ordiri significa "iniziare, cominciare", spesso riferito al momento in cui si comincia a tessere il tessuto?. La sinistra recupera questo significato: l'ordine è il momento in cui si "inizia" – quando si comincia a tessere una realtà nuova, quando gli uomini prendono il controllo conscio della storia., quale costruzione cosciente, pianificata, di un ordine migliore.
Nessun commento:
Posta un commento