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EBREO, etimologia e significato

L'etimologia di ebreo risale all'antico termine ebraico con cui questo popolo si autodefiniva sulla base delle proprie origini e migrazioni storiche. Il vocabolo si è diffuso nelle altre lingue mantenendo tale significato originario. Andando a ritroso nel tempo, il termine "ebreo" deriva dal latino Hebraeus, che a sua volta trae origine dall'ebraico "Ivri" o "Ivriyyim". Quest'ultimo vocabolo compare già nella Bibbia ebraica (Tanakh) per indicare il popolo di discendenza di Abramo proveniente dalla regione dell'Eber, l'antico nome della Mesopotamia. Secondo gli studiosi, l'etimologia diʿIvri sarebbe collegata alla radice semitica ʿ-b/v-r che significa oltrepassare, attraversare. Il termine alluderebbe quindi al passaggio del fiume Eufrate compiuto dagli antenati degli ebrei durante le migrazioni storiche dalla Mesopotamia alla terra di Canaan. Con la traduzione della Bibbia in greco (III secolo a.C.), il vocabolo ebraico Ivriyyim venne reso con il termine Ἑβραῖοι (Hebraîoi), da cui deriva il successivo latino "Hebraeus". In epoca medievale troviamo in italiano le prime attestazioni di "ebreo", riferito agli appartenenti alla religione ebraica. Il vocabolo si diffuse rapidamente anche grazie ai mercati e alle comunità ebraiche nelle città italiane.

Simbolo della Tribù di Giuda

MENTORE, etimologia e significato

La parola mentore è entrata a far parte della lingua italiana in epoca relativamente recente, la sua origine, tuttavia, è antichissima e risale alla mitologia greca. Il termine deriva dal nome proprio Μεντωρ (Mentor) = Mentore, personaggio dell'Odissea che fu maestro e consigliere di Telemaco, figlio di Ulisse. Da questa prima accezione di guida saggia e fidata, in greco "mentore" assunse il significato generico di consigliere, educatore e protettore.  A sua volta, le  radici etimologiche del nome Μεντωρ  sembrano essere riconducibili al termine μενος (menos) = mente, intelligenza e quindi forza, coraggio, saggezza. E inoltre, sembrano anche essere riconducibili al verbo greco μέλλειν (mellein) = stare a cuore, avere premura di qualcosa, prendersi cura di qualcuno o di qualcosa. Il primo ad utilizzare il nome Mentore come antonomasia per indicare un maestro, un precettore fu François de Salignac de La Mothe-Fénelon, arcivescovo cattolico, teologo e pedagogo francese, precettore del duca di Borgogna, che citò il personaggio greco nella sua opera Les Aventures de Télémaque (1699). In italiano il vocabolo venne inizialmente adottato in ambito pedagogico e scolastico, per indicare il docente incaricato di seguire un allievo più da vicino. Successivamente, a partire dal XX secolo, l'uso si estese a contesti professionali e di formazione extrascolastica, riferendosi a una figura esperta che affianca e indirizza una persona più giovane o meno esperta. Oggi mentore viene impiegato diffusamente per designare chi, attraverso i propri insegnamenti e consigli, favorisce la crescita personale e professionale di un discente o protetto, come avveniva nel rapporto tra Mentore e Telemaco, mantenendo il significato originario greco di guida saggia e benevola. L'uso moderno di mentore come guida in ambito professionale si diffuse a partire dagli anni '80 del Novecento, con la nascita dei primi programmi aziendali di mentoring. In origine il termine veniva impiegato solo come sostantivo, ma dagli anni '90 si è affermato anche l'utilizzo aggettivale di "mentore" e il verbo "mentorare" (Serianni, 2000). In ambito psicologico, il "mentore" è colui che incarna gli archetipi junghiani del "saggio" e della "guida" nel percorso di individuazione del discente. Il mentoring sta assumendo nuove forme online, attraverso piattaforme di e-mentoring che sfruttano le potenzialità del digitale. 

Telemaco e Mentore

BISLACCO, etimologia e significato

La parola bislacco è entrata nell'italiano nella seconda metà del Novecento. Nonostante le varie teorie etimologiche proposte, la derivazione più accreditata la fa risalire al termine dialettale lombardo sbislacch, che significa stravagante, bizzarro (Marazzini, 2009). Questa origine regionale spiegherebbe la diffusione iniziale del termine nel nord Italia, prima che si estendesse al resto della penisola assumendo l'accezione odierna. 

Le altre ipotesi etimologiche:  

- la formazione dal longobardo bis-lahan cioè "due volte sacrificato" (Cortelazzo & Zolli, 1999). Tale ipotesi etimologica indicherebbe che in origine il termine veniva utilizzato con accezione dispregiativa per indicare una persona doppia, infida, che si spacciava per ciò che non era (De Mauro, 2000); 

- la formazione dal veneto bislaco che, a sua volta, deriva dallo sloveno bezjak cioè sciocco. Anche quest'altra ipotesi etimologica presenta un'accezione marcatamente dispregiativa.

L'etimologia da "sbislacch" è quindi ad oggi la teoria maggiormente condivisa tra gli studiosi per la radice del neologismo. Studi linguistici hanno riscontrato una continuità fonetica tra "sbislacch" dialettale e "bislacco" in italiano. L'assimilazione della s impura iniziale spiegherebbe il passaggio a "bislacco" (Pfister, 1991). L'ipotesi della derivazione da "sbislacch" è supportata dall'analisi delle prime occorrenze di "bislacco" in testi letterari di autori lombardi tra XIX e XX secolo, dove il termine mantiene il significato originario dialettale (Klébaner, 2005). Inoltre, la diffusione nazionale di bislacco a partire dal Nord Italia rafforza l'ipotesi che la radice sia il vocabolo lombardo, anziché longobardo o di altra origine settentrionale (Migliorini, 1963). Il significato moderno di bislacco si è ormai consolidato nell'accezione di stravagante, bizzarro, inconsueto (De Mauro, 2000). Uno studio lessicografico ha rilevato che l'utilizzo di "bislacco" si è diffuso rapidamente in tutti gli ambiti, dal linguaggio giornalistico a quello letterario (Rossi, 2010). Ciò dimostra come il neologismo abbia colmato una lacuna lessicale nel designare qualità come l'inaspettato, l'inusuale e l'eccentrico con una sfumatura di simpatia se non addirittura di apprezzamento per l'eccentricità.

Vecchio bislacco

ERGASTOLO

Le radici etimologiche della parola ergastolo sono greche: derivano infatti dal greco ἐργαστήριον (ergastèrion) = casa di lavoro, laboratorio (derivazione di ἐργάζομαι cioè lavorare), propriamente "casa di lavoro". Nell'antica Grecia con il termine "ergastèrion" si indicavano quei luoghi dove venivano deportati gli schiavi condannati a lavorare per tutta la vita svolgendo compiti forzati e pesanti. In sostanza si trattava di vere e proprie prigioni dove gli schiavi trascorrevano il resto dei loro giorni lavorando in condizioni estreme. Quando poi i Romani presero il sopravvento in Grecia, adottarono questa stessa istituzione trasformandola nell' ergastulum. Anch'esso indicava un luogo di detenzione e lavoro coatto a vita, dove venivano rinchiusi gli schiavi ribelli o coloro che avevano commesso gravi reati. Sotto l'Impero Romano l'ergastulum divenne dunque una delle pene più dure che potevano essere inflitte agli schiavi insubordinati o ai criminali più pericolosi. Nei secoli successivi, con la caduta dell'Impero Romano e le invasioni barbariche, il significato di "ergastolo" andò parzialmente perdendosi. Fu solo con l'avvento dell'Età Moderna e con la nascita dei primi veri e propri sistemi carcerari punitivi che la parola riemerse dall'oblio. In particolare in Francia, con l'Editto di Saint-Germain-en-Laye del 1679, Luigi XIV reintrodusse il termine "travaux forces à perpétuité", che indicava precisamente la condanna ai lavori forzati a vita. In Italia bisogna aspettare l'Ottocento per ritrovare la parola ergastolo, questa volta con il significato propriamente giuridico che ancora oggi conosciamo. Nel 1859 venne infatti promulgato il primo Codice Penale unitario, all'interno del quale, agli articoli 17 e 21, comparve per la prima volta in senso stretto la "pena dell'ergastolo". Essa venne inserita nella scala edittale delle pene come sanzione sostitutiva della pena capitale, che veniva abolita, consistendo nella reclusione perpetua nelle carceri del Regno. Da quel momento in poi il termine ergastolo è sempre rimasto nel lessico giuridico e nel linguaggio comune per indicare la pena del carcere a vita.

ἐργαστήριον (ergastèrion) 

PÈSCA

L'etimologia della parola pèsca ci riconduce al latino "persica". Questo termine era usato per indicare il frutto del pèsco, il "malus persicum" cioè "melo persiano", in riferimento alla sua origine nella regione della Persia, l'attuale Iran. La coltivazione del pèsco e la produzione delle pèsche erano molto diffuse in Persia fin dall'antichità. I persiani avevano sviluppato tecniche avanzate per la coltivazione di questa pianta e la trasformazione delle sue pèsche in prodotti come marmellate, sciroppi e dolci. La reputazione delle pèsche persiane era così elevata che il termine usato per indicare il frutto divenne sinonimo di eccellenza. Durante il periodo delle Crociate, i crociati europei ebbero contatti con le culture orientali e furono introdotti alle pèsche persiane. Questo portò all'importazione del frutto in Europa, dove divenne rapidamente popolare.

Le pèsche