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'NDRANGHETA, etimologia e significato

L'etimologia della parola 'ndrangheta non è certa; tuttavia, sono state proposte varie ipotesi, tra le quali, due sembrano essere le più accreditate presso gli studiosi:

-  la parola 'ndrangheta deriva dal termine greco ἀνδραγαθία (andragathía), a sua volta composta da  andròs (genitivo di anér cioè uomo ) e da agathia (valore, rispettabilità...) Questo termine era usato presso gli antichi Greci per descrivere le virtù che un uomo avrebbe dovuto possedere, come onore, coraggio e lealtà (teoria formulata da Paolo Martino nel saggio "Per la storia della 'ndranghita");

-  il legame etimologico è individuato nel dialettismo calabro ’ntrànchiti = interiora di capretto o di pecora, (che a sua volta presenta le varianti ’ntragni, ’ntràgnisi, ’ntrànghisi = interiora, frattaglie) e deriva dal latino interanĕa = interiora. Sul piano semantico il significato di interiora, intestini ha assunto quello metaforico di "membri uniti da un legame interno,  viscerale, profondo, esclusivo e riservato" e quindi "uomini d’onore", da cui la locuzione "società dei ’ndranghiti" e per ellissi semplicemente ’ndranghiti. (teoria preferita dall'Accademia della Crusca - per approfondire clicca QUI).

A differenza delle altre organizzazioni criminali in Italia, la 'ndrangheta si distingue per la sua struttura interna: ogni cosca poggia sui membri di un nucleo familiare legati tra loro da vincoli di sangue, noti come 'ndrine. Matrimoni tra diverse cosche non sono rari e servono a consolidare i legami tra le famiglie mafiose. In passato, i casi di pentitismo erano rari a causa del forte legame familiare; i membri erano riluttanti a tradire i propri parenti e familiari, andando contro il giuramento fatto all'ingresso nel mondo della criminalità. Tuttavia, con l'aumento della pressione da parte dello Stato e l'attenzione dei media, la 'ndrangheta sta iniziando a registrare un aumento dei casi di pentitismo. Secondo le ultime indagini condotte dalla Direzione Investigativa Antimafia nel 2022 emerge che la 'ndrangheta può vantare di un esercito di 250 000 affiliati sparsi nel mondo e di più di 400 000 favoreggiatori tra affiliati e non affiliati solamente in Calabria. Con un fatturato annuo di circa 150 miliardi di euro.

’ntrànchiti

FAIDA, etimologia e significato

La parola faida deriva dall'antico tedesco fehida, composto da feh che significa nemico. Si ricollega alla radice protoindoeuropea fik-  o pik-  = pungere, ed in senso lato, colpire, offendere. In generale, rappresenta una guerra privata tra famiglie o uno stato di inimicizia perenne. Inizialmente, nel diritto germanico, indicava il diritto di un privato di ottenere soddisfazione per un torto subito. Nel corso del tempo, ha acquisito il significato di guerra privata tra famiglie o gruppi, spesso caratterizzata da conflitti prolungati, vendette e cicli di violenza. Nell'evoluzione della lingua italiana, la parola "faida" ha acquisito un significato più ristretto e specifico, indicando una disputa prolungata, spesso caratterizzata da vendette e conflitti tra gruppi o famiglie. La faida può nascere da motivi vari, come questioni di onore, vendette personali, contese territoriali o rivalità storiche. Le faide erano particolarmente comuni in molte regioni d'Italia durante il periodo medievale e oltre, quando la società era spesso divisa in fazioni o clan, ognuno dei quali difendeva il proprio onore e i propri interessi con forza e determinazione. Questi conflitti potevano durare a lungo e portare a cicli di vendetta che coinvolgevano generazioni successive. Un esempio noto di faida nella storia italiana è la "Faida dei Montecchi e dei Capuleti", che è stata immortalata da William Shakespeare nella sua opera "Romeo e Giulietta". Questa rappresentazione drammatica di una faida tra due famiglie a Verona rifletteva una realtà sociale dell'epoca, anche se la storia di Romeo e Giulietta è una creazione letteraria. In tempi più recenti, il termine "faida" è stato utilizzato anche per descrivere conflitti tra gruppi criminali organizzati, come la mafia, che si sono verificati in diverse parti d'Italia. In questo contesto, la faida può coinvolgere scontri violenti tra clan rivali, con conseguenze spesso tragiche per coloro che sono coinvolti o che vivono nelle comunità colpite.

Faida

TREGUA, etimologia e significato

L'origine della parola tregua può essere rintracciata nel latino medievale tregua, che a sua volta deriva dal dal gotico-antico tedesco 𐍄𐍂𐌹𐌲𐌲𐍅𐌰  (triggwa) = patto, accordo, originariamente associato a un periodo di tempo limitato durante il quale le ostilità venivano provvisoriamente sospese. Periodo di tempo sufficiente per permettere alle parti coinvolte di negoziare e risolvere le controversie in modo pacifico. Nel corso del tempo, il significato di "tregua" si è esteso per includere un periodo di pausa o cessazione temporanea delle ostilità, cioè un "armistizio", che può variare in durata a seconda del contesto e delle circostanze. La parola tregua implica quindi una temporanea sospensione delle ostilità o dei conflitti, offrendo un periodo di calma e di pausa in cui le parti coinvolte possono riflettere, negoziare e cercare soluzioni pacifiche. È un invito a cercare la comprensione reciproca e a lavorare verso la risoluzione dei conflitti in modo pacifico. Insomma, la tregua non implica necessariamente la risoluzione definitiva di un conflitto, ma rappresenta un'opportunità per aprire un dialogo costruttivo e cercare soluzioni che siano accettabili per entrambe le parti coinvolte. È un momento di respiro e di riflessione, in cui si cerca di ridurre le tensioni e cercare un terreno comune per la risoluzione delle divergenze.                                
Bandiera bianca

ANFITRIONE, etimologia e significato

L'origine della parola anfitrione risale alla mitologia greca: infatti, Anfitrione era un personaggio della mitologia greca, noto per essere stato il marito di Alcmena, madre di Eracle (Hercules). Secondo il mito, Zeus si trasformò in Anfitrione per unirsi ad Alcmena mentre il vero Anfitrione era lontano in guerra. Questo evento mitologico ha dato origine all'uso del termine "anfitrione" per indicare un ospite o un padrone di casa. Dal punto di vista strettamente etimologico, il termine anfitrione deriva dal greco antico Ἀμφιτρύων (Amphitryon), composto da αμφί (amphi) che significa intorno e τρύω (tryo) che significa nutrirsi o alimentarsi. Quindi, letteralmente il significato originario deve intendersi come "colui che nutre o si prende cura degli ospiti intorno a sé". Ciò richiama l'idea di una persona che accoglie gli altri nella propria casa e si prende cura di loro, fornendo loro cibo, alloggio e ospitalità. Nel corso dei secoli, il termine "anfitrione" è stato adottato in molte lingue europee con significati simili. Ad esempio, in italiano, francese e spagnolo, la parola anfitrione mantiene il suo significato originale di "padrone di casa" o "ospite". In inglese, il termine "host" (usato per indicare un ospite o un padrone di casa) può essere considerato un equivalente moderno di "anfitrione". Tuttavia, il significato di "anfitrione" non si limita solo all'ospitalità e all'accoglienza, ma si estende in ulteriori ambiti: nel contesto della medicina, la parola "anfitrione" è stata utilizzata per descrivere un organismo ospite che ospita o nutre un parassita o un agente patogeno basandosi sull'idea che l'organismo ospite fornisce un ambiente favorevole per la sopravvivenza e la proliferazione del parassita o dell'agente patogeno; nel contesto teatrale, il termine "anfitrione" è stato utilizzato per riferirsi a un personaggio principale in una commedia o a un ospite d'onore che viene celebrato in un'occasione speciale, richiamando l'idea di un individuo che assume un ruolo centrale o di spicco in una situazione sociale o culturale. In campo tecnologico, il concetto di anfitrione si è esteso anche al mondo digitale, con l'avvento dei social media e delle piattaforme di condivisione di contenuti: gli anfitrioni di eventi online, ad esempio, organizzano e conducono webinar, podcast o video in diretta, offrendo un'esperienza coinvolgente ai loro spettatori. i virtuali. Nel contesto dell'intrattenimento, l'anfitrione è colui che presiede un evento o uno spettacolo, guidando e presentando gli altri partecipanti; nell'ambito delle relazioni diplomatiche, l'anfitrione rappresenta il paese che ospita una conferenza, un summit o un incontro ufficiale. Le espressioni idiomatiche con la parola anfitrione rappresentano un utilizzo figurato del termine, andando oltre il suo significato letterale. Queste espressioni possono essere rintracciate nella lingua italiana e mostrano l'influenza culturale e popolare del termine: ad esempio, l'espressione "essere l'Anfitrione" indica il ruolo di ospitante o padrone di casa, mentre "fare l'Anfitrione" si riferisce a chi organizza e accoglie gli ospiti in modo cordiale. Allo stesso modo, l'espressione "essere l'Anfitrione del proprio destino" si riferisce alla capacità di prendere in mano il proprio futuro. Tali espressioni illustrano come il termine "Anfitrione" sia entrato nel linguaggio quotidiano, rappresentando, per antonomasia, un ruolo di ospitalità, accoglienza e comando.

Anfitrione in un affresco di Ercolano

CURA, etimologia e significato

La parola cura deriva dal latino cūra che significa cura, attenzione . Questo termine latino si ritiene  sia da collegare alla radice indoeuropea *keu-, che rappresenta l' azione di osservare, di notare, di rivolgere l'attenzione. Le parole che derivano da questa radice condividono un nucleo semantico comune, che si manifesta attraverso una varietà di sfumature e significati correlati. Come dicevamo, una delle prime parole che possiamo associare a questa radice è proprio "cura". Questo termine riflette l'idea di osservare attentamente qualcosa, di prendersene cura e di dedicargli attenzione. Questo concetto si è poi diffuso in altre lingue, come l'italiano, l'inglese e il francese, mantenendo il suo significato originale o sviluppandone di nuovi nel corso dei secoli. Ad esempio, in inglese, la parola "cure" può indicare sia l'azione di curare qualcosa o qualcuno, sia il processo di guarigione. Il collegamento con la radice *keu- suggerisce che il concetto di osservare attentamente e prendersi cura di qualcosa sia presente in entrambe le accezioni. Anche in altre lingue indoeuropee, troviamo parole che derivano dalla stessa radice e condividono significati simili. Ad esempio, in sanscrito, la parola cintā significa attenzione o preoccupazione. In irlandese antico, la parola cuimhnigh si traduce come ricordare. Questi esempi dimostrano come la radice *keu- sia stata adottata e adattata in diverse lingue indoeuropee, dando luogo a una varietà di parole che si collegano al concetto di "osservare" e "notare" in modi unici. Tale radice protoindoeuropea, fu assorbita dal sostantivo latino cūra e dal verbo curare che significa "preoccuparsi", "avere a cuore", "premurarsi". Da ciò, il senso originario di "cura" come affettuosa premura e dedizione verso le persone care. Già in latino il vocabolo assunse però anche accezioni più ampie, ad indicare l'attività di gestione, amministrazione, tutela di affari pubblici o privati. Da qui i derivati come "procuratore", "curatore", "curia". In italiano "cura" è documentato a partire dal XIII secolo. Ha mantenuto sia il significato di attenzione amorevole e custodia, sia quello di responsabilità nella gestione di interessi altrui, come in espressioni del tipo "avere cura di qualcosa". In campo medico ha assunto il significato specifico di intervento terapeutico per risanare una malattia o ferita, accezione prevalente nell'italiano moderno. Il verbo "curare" viene quindi usato come sinonimo di "medicare", "sanare". la stessa  radice della parola cura si ritrova in altre parole come "accuratezza", "curatela", "curatore", "curiosità". In ambito religioso, nel cristianesimo la "cura animarum" indicava la responsabilità pastorale per la salvezza spirituale dei fedeli. In filosofia,  il padre dell'esistenzialismo Martin Heidegger parlava di "cura" come trasporto esistenziale verso le cose, contrapponendola alla semplice "preoccupazione". In psicologia, il termine "cure" in inglese ha assunto il significato di "prendersi cura" dei pazienti anche sul piano emotivo.

"L'attenzione è la prima forma di amore"
(Simone Weil)

PALESTINA, etimologia e significato

L'etimologia della  parola Palestina  - in greco Παλαιστίνη (Palaistínē), in latino Palaestina, in arabo فلسطين‎ (Falasṭīn), in ebraico פלשתינה(Palestina) in yiddish: פּאלעסטינע (Palestine) - ci riporta all'antico termine Pǝléšet, attestato già nella Bibbia ebraica (XIII-VI secolo a.C.). Esso indicava l'area geografica corrispondente alla regione costiera meridionale della terra di Canaan. più precisamente, la regione geografica del Vicino Oriente compresa tra il mar Mediterraneo, il fiume Giordano, il Mar Morto, a scendere fino al Mar Rosso e ai confini con l'Egitto. La radice ebraica p-l-š rimanda al popolo dei Filistei, stanziati nella zona; da qui il nome "Pǝléšet" acquisì il significato di "terra dei Filistei". I Greci tradussero il toponimo in Παλαιστίνη (Palaistinḗ) da cui il latino "Palaestina". Con le conquiste di Alessandro Magno e l'assoggettamento romano, il nome si estese a tutta la regione tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano. Dopo la diaspora ebraica del I-II secolo d.C., fu abbandonato l'endonimo biblico "Terra d'Israele". Nel 135 d.C., in seguito alla repressione della rivolta di Bar Kokhba, l'imperatore Adriano rinominò ufficialmente la provincia romana di Giudea in "Syria Palaestina", da cui deriva l'odierna definizione di Palestina. Il toponimo ha quindi origini antichissime, legate alle popolazioni che abitavano l'area in epoca biblica e classica. L'endonimo arabo è Falasṭīn, direttamente derivato dal greco. I palestinesi si autodefiniscono "Falasṭīniyyūn". Tale denominazione "Falasṭīn" ha poi assunto il significato moderno di territorio rivendicato dal popolo palestinese come propria patria e stato nazionale.

La Palestina nell'800 a.C. secondo la Bibbia

ALLEGORIA, etimologia e significato

La parola allegoria deriva dal tardo latino allegorĭa, a sua volta proveniente dal greco ἀλληγορία (allegoria), composto da ἄλλος (allos) = altro e da ἀγορεύω (agoreuo)  = parlare

Differenze tra allegoria e metafora/simbolo

<< Rispetto alla metafora:

Nell'allegoria, come nella metafora, vi è la sostituzione di un oggetto ad un altro ma, a differenza di quella, l’allegoria non si basa sul piano emotivo, bensì richiede un'interpretazione razionale di ciò che sottintende. Essa opera quindi su un piano superiore rispetto al visibile e al primo significato: spesso l'allegoria si appoggia a convenzioni di livello filosofico o metafisico.

Rispetto al simbolo:

L'interpretazione del simbolo è intuitiva, mentre quella dell'allegoria comporta uno sforzo intellettuale. >>     

(Il testo virgolettato <<........>> è tratto da:   https://it.wikipedia.org/wiki/Allegoria).

Già nell'antica Grecia il termine indicava una forma espressiva consistente nell'allusione ad un significato ulteriore, più profondo e simbolico, attraverso l'uso di metafore, simboli e personificazioni. Una delle prime teorizzazioni dell'allegoria si deve a Filone di Alessandria (I-II sec. d.C.). Nell'italiano medievale e rinascimentale l'allegoria era una tecnica letteraria diffusa, soprattutto nella rappresentazione di concetti morali e religiosi in forma figurata: tant'è che divenne una forma espressiva centrale anche nelle arti figurative, ad esempio nella rappresentazione di vizi e virtù in pittura e scultura. Dal Settecento, con l’affermarsi della cultura illuminista, l’allegoria perse progressivamente importanza come strumento interpretativo, assumendo una connotazione di artifizio retorico. Con l'avvento del Romanticismo l'allegoria conobbe una rivalutazione come veicolo di significati universali attraverso il simbolo. In epoca contemporanea, la psicoanalisi ha recuperato la dimensione allegorica nei sogni e nell'inconscio, come via per esprimere contenuti rimossi.

Esempi celebri di opere letterarie di tutti i tempi e di tutti i luoghi, incentrate sull'allegoria:

Molte favole di Esopo ed Fedro hanno un significato allegorico e morale, come la cicala e la formica;

La Divina Commedia di Dante, dove il viaggio ultraterreno simbolizza il percorso di redenzione dell'umanità;

La commedia "Il cavaliere della triste figura" di Cervantes, in cui Don Chisciotte rappresenta allegoricamente l'ideale cavalleresco in contrasto con la realtà;

"I viaggi di Gulliver" di Swift, con i vari popoli come allegoria dei vizi e delle virtù della società inglese del tempo;

"La fattoria degli animali" di Orwell, allegoria del totalitarismo e della rivoluzione tradita attraverso le vicende di una fattoria;

"La peste" di Camus, che usa l'epidemia come allegoria del nazismo e dell'occupazione nazista in Francia.

"Il signore delle mosche" di Golding, con i ragazzi naufraghi che rappresentano la degenerazione della natura umana.

Oggi il termine viene usato più genericamente per indicare qualsiasi significato simbolico nascosto dietro immagini, narrazioni, eventi, indipendentemente dall'intenzionalità dell'autore. Mantiene però l'accezione principale di espediente retorico-letterario.

 Valentin de Boulogne, Allegoria dell’Italia, 1628-29

EBREO, etimologia e significato

L'etimologia di ebreo risale all'antico termine ebraico con cui questo popolo si autodefiniva sulla base delle proprie origini e migrazioni storiche. Il vocabolo si è diffuso nelle altre lingue mantenendo tale significato originario. Andando a ritroso nel tempo, il termine "ebreo" deriva dal latino Hebraeus, che a sua volta trae origine dall'ebraico "Ivri" o "Ivriyyim". Quest'ultimo vocabolo compare già nella Bibbia ebraica (Tanakh) per indicare il popolo di discendenza di Abramo proveniente dalla regione dell'Eber, l'antico nome della Mesopotamia. Secondo gli studiosi, l'etimologia diʿIvri sarebbe collegata alla radice semitica ʿ-b/v-r che significa oltrepassare, attraversare. Il termine alluderebbe quindi al passaggio del fiume Eufrate compiuto dagli antenati degli ebrei durante le migrazioni storiche dalla Mesopotamia alla terra di Canaan. Con la traduzione della Bibbia in greco (III secolo a.C.), il vocabolo ebraico Ivriyyim venne reso con il termine Ἑβραῖοι (Hebraîoi), da cui deriva il successivo latino "Hebraeus". In epoca medievale troviamo in italiano le prime attestazioni di "ebreo", riferito agli appartenenti alla religione ebraica. Il vocabolo si diffuse rapidamente anche grazie ai mercati e alle comunità ebraiche nelle città italiane.

Simbolo della Tribù di Giuda

MENTORE, etimologia e significato

La parola mentore è entrata a far parte della lingua italiana in epoca relativamente recente, la sua origine, tuttavia, è antichissima e risale alla mitologia greca. Il termine deriva dal nome proprio Μεντωρ (Mentor) = Mentore, personaggio dell'Odissea che fu maestro e consigliere di Telemaco, figlio di Ulisse. Da questa prima accezione di guida saggia e fidata, in greco "mentore" assunse il significato generico di consigliere, educatore e protettore.  A sua volta, le  radici etimologiche del nome Μεντωρ  sembrano essere riconducibili al termine μενος (menos) = mente, intelligenza e quindi forza, coraggio, saggezza. E inoltre, sembrano anche essere riconducibili al verbo greco μέλλειν (mellein) = stare a cuore, avere premura di qualcosa, prendersi cura di qualcuno o di qualcosa. Il primo ad utilizzare il nome Mentore come antonomasia per indicare un maestro, un precettore fu François de Salignac de La Mothe-Fénelon, arcivescovo cattolico, teologo e pedagogo francese, precettore del duca di Borgogna, che citò il personaggio greco nella sua opera Les Aventures de Télémaque (1699). In italiano il vocabolo venne inizialmente adottato in ambito pedagogico e scolastico, per indicare il docente incaricato di seguire un allievo più da vicino. Successivamente, a partire dal XX secolo, l'uso si estese a contesti professionali e di formazione extrascolastica, riferendosi a una figura esperta che affianca e indirizza una persona più giovane o meno esperta. Oggi mentore viene impiegato diffusamente per designare chi, attraverso i propri insegnamenti e consigli, favorisce la crescita personale e professionale di un discente o protetto, come avveniva nel rapporto tra Mentore e Telemaco, mantenendo il significato originario greco di guida saggia e benevola. L'uso moderno di mentore come guida in ambito professionale si diffuse a partire dagli anni '80 del Novecento, con la nascita dei primi programmi aziendali di mentoring. In origine il termine veniva impiegato solo come sostantivo, ma dagli anni '90 si è affermato anche l'utilizzo aggettivale di "mentore" e il verbo "mentorare" (Serianni, 2000). In ambito psicologico, il "mentore" è colui che incarna gli archetipi junghiani del "saggio" e della "guida" nel percorso di individuazione del discente. Il mentoring sta assumendo nuove forme online, attraverso piattaforme di e-mentoring che sfruttano le potenzialità del digitale. 

Telemaco e Mentore

BISLACCO, etimologia e significato

La parola bislacco è entrata nell'italiano nella seconda metà del Novecento. Nonostante le varie teorie etimologiche proposte, la derivazione più accreditata la fa risalire al termine dialettale lombardo sbislacch, che significa stravagante, bizzarro (Marazzini, 2009). Questa origine regionale spiegherebbe la diffusione iniziale del termine nel nord Italia, prima che si estendesse al resto della penisola assumendo l'accezione odierna. 

Le altre ipotesi etimologiche:  

- la formazione dal longobardo bis-lahan cioè "due volte sacrificato" (Cortelazzo & Zolli, 1999). Tale ipotesi etimologica indicherebbe che in origine il termine veniva utilizzato con accezione dispregiativa per indicare una persona doppia, infida, che si spacciava per ciò che non era (De Mauro, 2000); 

- la formazione dal veneto bislaco che, a sua volta, deriva dallo sloveno bezjak cioè sciocco. Anche quest'altra ipotesi etimologica presenta un'accezione marcatamente dispregiativa.

L'etimologia da "sbislacch" è quindi ad oggi la teoria maggiormente condivisa tra gli studiosi per la radice del neologismo. Studi linguistici hanno riscontrato una continuità fonetica tra "sbislacch" dialettale e "bislacco" in italiano. L'assimilazione della s impura iniziale spiegherebbe il passaggio a "bislacco" (Pfister, 1991). L'ipotesi della derivazione da "sbislacch" è supportata dall'analisi delle prime occorrenze di "bislacco" in testi letterari di autori lombardi tra XIX e XX secolo, dove il termine mantiene il significato originario dialettale (Klébaner, 2005). Inoltre, la diffusione nazionale di bislacco a partire dal Nord Italia rafforza l'ipotesi che la radice sia il vocabolo lombardo, anziché longobardo o di altra origine settentrionale (Migliorini, 1963). Il significato moderno di bislacco si è ormai consolidato nell'accezione di stravagante, bizzarro, inconsueto (De Mauro, 2000). Uno studio lessicografico ha rilevato che l'utilizzo di "bislacco" si è diffuso rapidamente in tutti gli ambiti, dal linguaggio giornalistico a quello letterario (Rossi, 2010). Ciò dimostra come il neologismo abbia colmato una lacuna lessicale nel designare qualità come l'inaspettato, l'inusuale e l'eccentrico con una sfumatura di simpatia se non addirittura di apprezzamento per l'eccentricità.

Vecchio bislacco

ERGASTOLO

Le radici etimologiche della parola ergastolo sono greche: derivano infatti dal greco ἐργαστήριον (ergastèrion) = casa di lavoro, laboratorio (derivazione di ἐργάζομαι cioè lavorare), propriamente "casa di lavoro". Nell'antica Grecia con il termine "ergastèrion" si indicavano quei luoghi dove venivano deportati gli schiavi condannati a lavorare per tutta la vita svolgendo compiti forzati e pesanti. In sostanza si trattava di vere e proprie prigioni dove gli schiavi trascorrevano il resto dei loro giorni lavorando in condizioni estreme. Quando poi i Romani presero il sopravvento in Grecia, adottarono questa stessa istituzione trasformandola nell' ergastulum. Anch'esso indicava un luogo di detenzione e lavoro coatto a vita, dove venivano rinchiusi gli schiavi ribelli o coloro che avevano commesso gravi reati. Sotto l'Impero Romano l'ergastulum divenne dunque una delle pene più dure che potevano essere inflitte agli schiavi insubordinati o ai criminali più pericolosi. Nei secoli successivi, con la caduta dell'Impero Romano e le invasioni barbariche, il significato di "ergastolo" andò parzialmente perdendosi. Fu solo con l'avvento dell'Età Moderna e con la nascita dei primi veri e propri sistemi carcerari punitivi che la parola riemerse dall'oblio. In particolare in Francia, con l'Editto di Saint-Germain-en-Laye del 1679, Luigi XIV reintrodusse il termine "travaux forces à perpétuité", che indicava precisamente la condanna ai lavori forzati a vita. In Italia bisogna aspettare l'Ottocento per ritrovare la parola ergastolo, questa volta con il significato propriamente giuridico che ancora oggi conosciamo. Nel 1859 venne infatti promulgato il primo Codice Penale unitario, all'interno del quale, agli articoli 17 e 21, comparve per la prima volta in senso stretto la "pena dell'ergastolo". Essa venne inserita nella scala edittale delle pene come sanzione sostitutiva della pena capitale, che veniva abolita, consistendo nella reclusione perpetua nelle carceri del Regno. Da quel momento in poi il termine ergastolo è sempre rimasto nel lessico giuridico e nel linguaggio comune per indicare la pena del carcere a vita.

ἐργαστήριον (ergastèrion) 

PÈSCA

L'etimologia della parola pèsca ci riconduce al latino "persica". Questo termine era usato per indicare il frutto del pèsco, il "malus persicum" cioè "melo persiano", in riferimento alla sua origine nella regione della Persia, l'attuale Iran. La coltivazione del pèsco e la produzione delle pèsche erano molto diffuse in Persia fin dall'antichità. I persiani avevano sviluppato tecniche avanzate per la coltivazione di questa pianta e la trasformazione delle sue pèsche in prodotti come marmellate, sciroppi e dolci. La reputazione delle pèsche persiane era così elevata che il termine usato per indicare il frutto divenne sinonimo di eccellenza. Durante il periodo delle Crociate, i crociati europei ebbero contatti con le culture orientali e furono introdotti alle pèsche persiane. Questo portò all'importazione del frutto in Europa, dove divenne rapidamente popolare.

Le pèsche

GLORIA

L'etimologia della parola gloria ci riconduce alla radice indoeuropea klu- (çru- che troviamo nel sanscrito  con il significato di "farsi udire", "risuonare" e poi nel greco con la parola κλέος (kleos) , concetto centrale nella cultura eroica, che si riferiva alla fama, alla rinomanza o alla lode acquisita attraverso le imprese eroiche compiute da un individuo o da un'intera comunità. Nell'antica Grecia, il kleos era particolarmente importante per gli eroi e i guerrieri che cercavano di ottenere una reputazione immortale attraverso azioni valorose in battaglia o imprese straordinarie. La fama eroica era considerata un modo per la memoria di un individuo di sopravvivere anche dopo la morte. Quando il termine passò al latino come "gloria", mantenne il concetto di fama e rinomanza, ma si estese per includere anche il concetto di onore e prestigio. La gloria era vista come un'alta considerazione o una stima conferita a una persona per i suoi meriti, i suoi successi o le sue virtù. Nel contesto religioso, la parola gloria acquisì valore spirituale. Ad esempio, nella tradizione cristiana, la gloria di Dio rappresenta la manifestazione della potenza e della grandezza divina. 

La gloria

SARCASMO

Il termine "sarcasmo" ha radici etimologiche risalenti alla lingua greca classica. Infatti, il verbo greco antico "σαρκάζω" (sarkázō), che deriva dalla parola "σάρξ" (sárx), che significa "carne", aveva originariamente il significato di "strappare la carne" o "mordere la carne".Il  termine "σαρκάζω" che veniva utilizzato per descrivere l'azione fisica di strappare o lacerare la carne, nel corso del tempo, finì per indicare un tipo di linguaggio o umorismo che "strappa" o "lacera" in senso figurato. Il sarcasmo è una forma di comunicazione in cui si esprime un significato diverso da quello letterale delle parole, spesso con l'intento di ridicolizzare o criticare qualcuno o qualcosa. Viene utilizzato per incattivire l'ironia o per esprimere disapprovazione in modo tagliente. A differenza dell'ironia che consiste nell'affermazione di un qualcosa che però sta a significare il suo contrario, il sarcasmo sta ad indicare un'affermazione volontariamente beffarda e mordaceIn Grecia antica, il sarcasmo era spesso utilizzato in contesti retorici e letterari. La parola "sarcasmo" fu successivamente adottata nelle lingue europee attraverso il latino "sarcasmus" e  il francese "sarcasme" durante il Rinascimento. Da lì, è stata assorbita dalle lingue moderne, tra cui l'italiano, l'inglese, il tedesco e altre. 

Il sarcasmo

CREDERE

L'etimologia della parola CREDERE risale al latino crēdĕre, infinito presente di credo, a sua volta, dal proto-italico *krezdō, discendente del proto-indoeuropeo *ḱred dʰeh₁- (composto di *ḱḗr, "cuore", stessa radice del latino "cor") e *dʰeh₁-, "mettere, stabilire", ovvero "mettere il cuore in" e dunque "fidarsi, affidarsi, avere fiducia in".

Nel latino classico, "credere" aveva un significato ampio che comprendeva sia la fede religiosa che la fiducia nelle persone o nelle informazioni. Era spesso associato all'idea di accettare qualcosa come vero o affidabile sulla base di una certa autorità o evidenza. Con il passare del tempo, il termine "credere" ha acquisito una connotazione più specifica nel contesto religioso, dove si riferisce alla fede in un dio o in una dottrina religiosa. Tuttavia, il concetto di fiducia e convinzione interiore rimane al centro del significato di "credere".

Pertanto, credere ha una doppia accezione: 

  1. credere inteso come convinzione intellettuale che un avvenimento o qualcuno o qualcosa sia reale, vero; (aspetto razionale del credere, sulla base di un ragionamento);
  2. credere inteso come "mettere il cuore", cioè fidarsi, avere fiducia (aspetto sentimentale del credere, sulla base del sentimento di amorevole fiducia verso qualcuno o verso qualcosa).
Mentre la prima accezione può verificarsi indipendentemente dalla seconda, quest'ultima non può che sottendere ed implicare anche la prima. 

Credere...

AFORISMA

L'etimologia della parola "aforisma" deriva dal termine greco antico "ἀφορισμός" (aphorismós), che a sua volta ha radici nel verbo "ἀφορίζειν" (aphorízein). Quest'ultimo verbo è composto da due elementi: "ἀπό" (apó), che significa "da" e "ὁρίζειν" (horízein), che significa "separare" o "distinguere". Quindi, "ἀφορίζειν" (aphorízein) implica l'atto di separare o distinguere qualcosa da qualcos'altro. Il termine "ἀφορισμός" (aphorismós) è stato utilizzato in diversi contesti nel mondo antico, ma è stato principalmente associato al campo della medicina e alla filosofia. Nella medicina, il famoso medico greco Ippocrate (circa 460-370 a.C.) ha scritto una serie di opere, tra cui l'opera chiamata "Aforismi di Ippocrate" (Ἰπποκράτους Ἀφορισμοί, Ippokrátous Aphorismoi),  una raccolta di brevi sentenze che esprimevano principi e insegnamenti medici. Questi aforismi rappresentavano sinteticamente le sue osservazioni e le sue esperienze nel campo della medicina. Nel contesto filosofico, l'uso del termine "aforisma" è stato associato a pensatori come Eraclito e Pitagora. Eraclito, un filosofo pre-socratico, era noto per le sue affermazioni concise e criptiche che esprimevano la sua concezione del mondo in modo enigmatico. I suoi aforismi erano frasi brevi e taglienti che esprimevano il suo pensiero profondo e provocatorio. Inoltre, Pitagora, il filosofo e matematico greco antico, utilizzava anche aforismi per comunicare i suoi insegnamenti. Le sue massime erano concise, memorabili e spesso contenevano una verità universale. Nel corso dei secoli, il termine "aforisma" è stato adottato nella letteratura e nell'arte come una forma di espressione breve ma significativa. Gli aforismi sono diventati una forma di comunicazione che sintetizza saggezza, intuizioni o osservazioni profonde in una singola frase. Sono spesso utilizzati per catturare un'idea complessa in modo conciso ed efficace. Il concetto di separazione o distinzione, già sopra accennato, si è evoluto nel significato moderno di un'asserzione breve e incisiva che comunica saggezza o verità. Gli aforismi sono diventati un genere letterario a sé stante, con molti autori famosi che hanno scritto raccolte di aforismi. Tra gli esempi più noti vi sono i "Pensieri" di Blaise Pascal, le "Massime" di François de La Rochefoucauld e i "Maximes" di François de La Bruyère. Queste opere contengono una serie di aforismi che esplorano vari aspetti della vita, della morale e della società. È interessante notare che la natura stessa degli aforismi, con la loro brevità e la loro capacità di condensare concetti complessi in poche parole, riflette l'essenza stessa della parola "aforisma". Il termine stesso suggerisce un atto di separazione o distinzione, che avviene quando si estrae e si definisce un'idea essenziale o una verità fondamentale dalla massa di informazioni o concetti circostanti. 

Ἰπποκράτους Ἀφορισμοί (Aforismi di Ippocrate)

MATTEO

L'etimologia del nome Matteo dev'essere ricondotta all'ebraico antico. Infatti, Matteo deriva dal termine ebraico "Matityahu" (מַתִּתְיָהוּ), composto da due elementi: "matith" che significa "dono" o "regalo" e "Yahweh" che è il nome divino ebraico per indicare il Signore. Quindi, il significato complessivo del nome Matteo può essere interpretato come "dono di Yahweh" o "regalo di Dio". Il nome Matteo  appare anche nel Nuovo Testamento: Matteo era uno dei dodici apostoli di Gesù Cristo ed è considerato l'autore di uno dei quattro vangeli canonici. Latinizzato nella forma Matthaeus, sulla base dell'adattamento greco Ματθαίος (Matthaios), il nome Matteo condivide la stessa origine dei nomi Mattia, Maffeo e Mazzeo. Il nome Matteo è diffuso in molte lingue e culture e ha diverse varianti, come Matthew in inglese, Mathieu in francese e Mateo in spagnolo. L'onomastico  si festeggia il 21 settembre (per i cattolici) o il 16 novembre (per gli ortodossi) in ricordo di san Matteo, apostolo ed evangelista.

Caravaggio, San Matteo e l'angelo

TISANA

L'etimologia della parola "tisana" si ricollega al latino "tisanum" che a sua volta ha origine dal termine greco antico πτισάνη (ptisane) = decotto d’orzo..  La πτισάνη era una bevanda ottenuta facendo bollire erbe o piante in acqua, comunemente utilizzata per scopi medicinali, ma poteva anche essere consumata anche come bevanda rinfrescante. Durante l'era romana, la pratica di preparare e consumare tisane si diffuse ampiamente. La medicina greco-romana attribuiva alle erbe proprietà terapeutiche e curative, e le tisane venivano utilizzate per trattare una vasta gamma di disturbi e malattie. Con il passare dei secoli, il termine "ptisane" venne latinizzato in "tisanum" o "tisanus" nel latino medievale. In questo contesto, il significato della parola si estese per includere anche altre bevande a base di erbe, come decotti e infusi. Con il tempo, il termine "tisana" si è diffuso nelle lingue europee, mantenendo il significato originario di una bevanda ottenuta da infusi o decotti di erbe o piante, generalmente utilizzata per scopi terapeutici, curativi o per il benessere. Anche oggi, la parola "tisana" viene utilizzata ampiamente per riferirsi a una bevanda preparata con erbe, fiori, foglie o altre parti di piante. Si possono ottenete sua per infuso, sia per decotto. Nel primo caso, le erbe (di solito le parti più tenere e delicate della pianta come foglie, fiori, petali di fiori, gemme) vengono lasciate in infusione per alcuni minuti nell'acqua portata ad ebollizione ma a fuoco spento. In caso di decotto, invece, le erbe (di solito le  parti coriacee della pianta, come cortecce, radici, semi) si fanno cuocere in acqua bollente, a fuoco acceso, per alcuni minuti. Le tisane possono essere consumate per il loro sapore, ma sono spesso apprezzate anche per le proprietà terapeutiche che si attribuiscono loro, come calmare la digestione, favorire il sonno o alleviare il raffreddore. 

Tazza di tisana

IPOCONDRIA

L'etimologia della parola IPOCONDRIA ci riporta alla lingua greca antica. Essa è composta da due parti: il prefisso ὑπό (hypo-) = sotto +  la parola χόνδρος (chondros) = cartilagine (in particolare, la cartilagine delle costole). Pertanto, la parola "ipocondria" letteralmente significa "al di sotto delle costole". Infatti, questo termine era usato nell'antichità per indicare l'area del corpo umano situata sotto le costole, che comprende il fegato, lo stomaco e altri organi interni. Nella medicina greca antica, gli "ipocondri" erano considerati la sede di alcune funzioni vitali, come la digestione e la respirazione. I medici dell'epoca ritenevano che gli squilibri in queste funzioni potessero causare sintomi di malessere e ansia. Nell'antica Grecia, la medicina era basata sulla teoria degli umori, in base alla quale il corpo umano si considerava composto da quattro umori principali: sangue, flegma, bile gialla e bile nera. La salute era considerata un equilibrio tra questi umori, e la malattia era vista come il risultato di uno squilibrio. I medici greci, come Ippocrate e Galeno, credevano, come già accennato, che gli ipocondri fossero la sede di alcune funzioni vitali, quali la digestione e la respirazione, e che fossero particolarmente sensibili agli squilibri degli umori. Ad esempio, si riteneva che un eccesso di bile nera negli ipocondri potesse causare malinconia e depressione. Nel corso dei secoli, il concetto di ipocondria si è evoluto e ha assunto diverse sfumature. Durante il Rinascimento, la parola "ipocondria" veniva spesso usata per descrivere una condizione di tristezza e malinconia profonda, che si riteneva fosse causata da uno squilibrio degli umori negli ipocondri. Nel XVII e XVIII secolo, l'ipocondria divenne un termine più ampio per descrivere una varietà di sintomi fisici e psicologici, spesso associati a preoccupazioni eccessive per la salute. In questo periodo, l'ipocondria era considerata una malattia reale e veniva trattata con una serie di terapie, tra cui diete, purghe e sanguisughe. Con l'avvento della medicina moderna e la comprensione delle cause biologiche, psicologiche e psicosomatiche delle malattie, il concetto di ipocondria si è ulteriormente evoluto. Oggi, l'ipocondria è conosciuta come disturbo d'ansia da malattia, una condizione caratterizzata da preoccupazioni eccessive e persistenti riguardo alla propria salute, nonostante l'assenza di sintomi gravi o di una diagnosi medica.

Il malato immaginario, visto da Honoré Daumier

ELISIR

L'etimologia della parola ELISIR ci riporta all'arabo الإكسير (al-'iksīr), nome della "pietra filosofale" che, a sua volta, ha origine dal greco bizantino ξήριον (xērion), proveniente dal greco classico ξηρός (xēros), che significa "polvere secca". La pietra filosofale (in latino: lapis philosophorum) è, per eccellenza, la sostanza catalizzatrice simbolo dell'alchimia, capace di risanare la corruzione della materia. Essa ha un triplice potere: fornire un ELISIR di lunga vita in grado di conferire l'immortalità, e di  costituirsi come panacea universale per qualsiasi malattia; far acquisire l'onniscienza (ecco perché "filosofale"); il potere di trasmutare in oro i metalli vili. Nonostante ELISIR derivi da ξηρός = polvere secca, è concepito in forma liquida, come liquore, risultando perciò governato dall'archetipo della femminilità in particolare dalla Luna che presiede ai processi umidi di rigenerazione della vita. Nella storia della scienza e della medicina, il termine ELISIR ha assunto diversi significati. In origine, si riferiva alla sostanza che avrebbe dovuto trasformare i metalli vili in oro o conferire l'immortalità. Più tardi, si usò per indicare soluzioni idroalcoliche dolcificate e aromatizzate, contenenti principi attivi di origine vegetale o minerale. Alcuni esempi sono l'ELISIR di china, usato come antimalarico, o l'ELISIR di lunga vita, una bevanda liquorosa a cui si attribuiva la virtù di prolungare la vita. Oggi il termine ELISIR è caduto in disuso in ambito farmaceutico, ma rimane vivo nel linguaggio comune e nella letteratura per indicare una sostanza miracolosa o benefica. Un esempio famoso è l'ELISIR d'amore, una pozione magica che fa innamorare chi la beve, protagonista dell'omonima opera buffa di Gaetano Donizetti. Insomma, la parola ELISIR è usata per indicare vari tipi di liquori a base di sostanze medicamentose, droghe e principi amari a cui spesso in passato venivano attribuite miracolose proprietà curative o quella di allungare la vita. 

Decima illustrazione da un'edizione del XVII secolo del trattato alchemico Donum Dei di Georges Aurach.

PROFUMO

L'etimologia della parola profumo è da ricondursi al francese parfum, a sua volta dal latino per-fumus, (cioè attraverso il fumo). Più in dettaglio, il prefisso per- =attraverso, ha valore strumentale (per mezzo di, tramite...) mentre la parola fumo, in questo caso col significato di odore, fragranza sembra derivare dalla  radice sanscrita DHÛ-, che in senso letterale significa "agitare", "eccitare" ed, in senso lato, "esalare". Infatti, l'originaria dh- si è trasformata in f- (labiale aspirata). Per cui, da dhû-mas (cioè fumo, in sanscrito) a f- um- us (cioè fumo, in latino) il passo fu breve. Quindi, il profumo, altro non è che la fragranza portata all'olfatto attraverso il fumo, cioè un'esalazione di aromi gradevoli, effusi da essenze, un tempo solitamente ottenute in natura da erbe, piante, fiori, ma oggi anche chimicamente, in laboratorio.

ILLAZIONE

L'etimologia della parola illazione ci riporta al latino "illatio", a sua volta da illatus, participio passato di inferre, letteralmente "portare dentro", "inferire", ed in senso lato, "trarre conseguenze", "insinuare". L'illazione è il processo mentale attraverso il quale si ricava da alcune premesse una conseguenza che ne deriva o pare derivare. In origine, significava "conclusione derivata come conseguenza logica da una premessa" ed era sinonimo di "deduzione". Col passare del tempo, il termine illazione andò acquisendo una sfumatura negativa, esprimendo, più marcatamente, l'aspetto arbitrario e scarsamente fondato della congettura stessa. Infatti, nel linguaggio corrente, illazione è sinonimo di giudizio arbitrario, insinuazione, supposizione, congettura, ipotesi. Insomma, l'illazione è un giudizio temerario, non fondato su rigorosi criteri logici. L'illazione, se espressa pubblicamente, potrebbe includere aspetti diffamatori.

Illazioni...

ALDO

L'etimologia del nome Aldo è da ricondurre all'antico germanico. Vi sono però varie interpretazioni etimologiche. Di seguito, le più accreditate:        

  1. Dalla  radice ald- = vecchio o, in senso lato, esperto, saggio (vedi l'inglese old);
  2. Dall'antico germanico adal o (athal) = nobile;
  3. Dall'antico germanico wald = potente, forte (vedi l'antico germanico waldan = comandare);
  4. Dal celtico althos = bello, avvenente.
  5. Dal germanico aldio = semilibero che indicava tra i Germani  chi si trovava nella posizione sociale fra servo e liberto.
Alcuni studiosi sostengono che il nome Aldo costituisca un "ipocoristico" di altri nomi comincianti con la radice ald-, (questi termini sono molto comuni nell'onomastica d'origine germanica e spesso si confondono l'uno con l'altro, ad esempio in nomi quali Aldighiero, Aldobrando e Aldovino). 
Il nome Aldo venne portato dai popoli germanici dell'Europa settentrionale e centrale, come i Longobardi, i Goti e i Franchi. Nel corso dei secoli, il nome si diffuse in altre parti del mondo grazie all'influenza della cultura germanica e alla cristianizzazione. In Italia, il nome Aldo divenne particolarmente popolare a partire dal XIX secolo, grazie alla popolarità dell'opera lirica "La Gioconda" di Amilcare Ponchielli, in cui uno dei personaggi principali si chiama Aldo. L'opera riscosse un grande successo in Italia e all'estero, portando alla diffusione del nome Aldo soprattutto nelle regioni del Nord Italia, come la Lombardia, il Veneto e il Piemonte. Il nome Aldo è stato portato da diverse personalità di spicco nella storia e nella cultura. Tra i personaggi italiani famosi con questo nome si possono citare:
  • Aldo Fabrizi, attore, regista, sceneggiatore, produttore e poeta ;
  • Aldo Giuffré, attore, comico e doppiatore ;
  • Aldo Grasso, giornalista, critico televisivo e docente;
  • Aldo Moro, politico e accademico;
  • Aldo Palazzeschi, scrittore e poeta;
  • Alda Merini, poetessa, aforista e scrittrice;
L'onomastico si festeggia il 10 gennaio in ricordo di sant'Aldo, eremita a Carbonara al Ticino. Per il femminile, Alda o Aldina, si può festeggiare invece il 26 aprile, ricorrenza della beata Alda di Siena, 

La poetessa e scrittrice Alda Merini

SARA

Originariamente, il nome Sara deriva dalla lingua ebraica e si scrive come שָׂרָה (Sarah), che significa "principessa", "signora", o "nobile". Questo termine deriva dalla radice ebraica "sar", che significa "principe", "capo", "comandante", o "uomo di stato". Il nome Sara è stato reso famoso dalla Bibbia, dove Sara è la moglie di Abramo, il patriarca ebreo. Secondo la tradizione ebraica, Sara era una donna di grande bellezza e saggezza, e fu scelta da Dio per diventare la madre di Isacco, il figlio della promessa.  Il suo nome venne cambiato da Dio, in quanto essa era in origine chiamata שָׂרָי (Saray), che significa probabilmente "litigiosa" Il nome Sara è stato usato per indicare una donna rispettata e di grande importanza, come nel caso della regina Sara, moglie del re Davide, menzionata nella Bibbia. Il nome Sara è stato anche utilizzato nella cultura araba, dove viene trascritto come سارة (Sara) e ha lo stesso significato di "principessa" o "nobile". Il nome è ampiamente utilizzato in tutto il mondo, ed è stato portato da molte donne famose, tra cui la scrittrice statunitense Sara Teasdale, la poetessa italiana Sara Venturi, e l'attrice britannica Sara Crowe. In Italia, il nome Sara è stato introdotto nel Rinascimento, ma è diventato particolarmente popolare negli anni '70 e '80. Nel corso degli anni, il nome è stato associato a donne forti e indipendenti, come Sara Levi-Tanai, una famosa compositrice israeliana, e Sara Simeoni, una campionessa olimpica italiana nel salto in alto. Oggi, il nome Sara continua ad essere molto popolare in Italia e in molte altre parti del mondo, ed è spesso scelto per le neonate come segno di nobiltà, bellezza e forza. L'onomastico si festeggia il 20 aprile in memoria di santa Sara, martire ad Antiochia; mentre la biblica Sara, moglie di Abramo, è commemorata solo dalla Chiesa copta il 19 agosto; tutte le altre confessioni non la ricordano singolarmente, e i cattolici possono eventualmente ricordarla lo stesso giorno del marito (il 9 ottobre) oppure assieme agli altri antenati di Gesù (il 24 dicembre). Varianti del nome Sara sono: Saretta, Sarina, Sarah, Sally.

Sara e Abramo ospitano i tre angeli

BENE

L'etimologia della parola "bene" risale all'antica lingua indoeuropea, più precisamente  alla radice "dwen-" che aveva il significato di "amico" o di "amare". La stessa radice si ritrova poi nell’aggettivo antico latino “duonus” da cui “bonus” o “benus” e nell’avverbio “bĕne”. Infatti, nel latino classico, la parola "bĕne" era utilizzata come avverbio e significava "bene, benevolmente,  giustamente, positivamente". Inoltre, la parola "bĕne" poteva essere utilizzata come sostantivo per riferirsi ai beni materiali o alla ricchezza. Nel Medioevo, la parola "bene" assunse un significato più ampio e complesso. Nel contesto della filosofia e della teologia medievale, il termine "bene" è stata utilizzato per descrivere l'essenza stessa della divinità e della virtù. Inoltre, la parola è stata utilizzata per descrivere il comportamento morale degli individui e per indicare la ricerca della felicità e della perfezione. Nella lingua italiana moderna, la parola "bene" ha mantenuto gran parte dei suoi significati originari, ma ha anche assunto nuove sfumature di significato. Ad esempio, "bene" può essere utilizzato quale sinonimo di "sano" o "in salute", come ad esempio nella frase "mi sento bene". Inoltre, la parola "bene" è utilizzata in molte espressioni idiomatiche e frasi fatte, come ad esempio "fare del bene" o "andare bene".



CRETINO

L'etimologia della parola cretino sembra essere correlata indirettamente alla parola cristiano, non in senso di disprezzo ma di commiserazione: infatti essa deriva dal franco-provenzale crétín  (a sua volta, dal francese antico chrétien) = cristiano, ma nel senso generico di "povero cristo, pover'uomo, poverino…" (da tenere presente che la parola cristiano/a è tutt'ora utilizzata, specialmente nei dialetti, per indicare in senso lato una  persona qualsiasi, come sinonimo di uomo o donna).  La parola "cretino" assume un significato medico-scientifico nel XVIII secolo, quando la patologia nota come cretinismo comincia ad attirare l'attenzione della medicina. Infatti, fu denominata "cretinismo" una malattia endemica che colpisce gli abitanti di territori poveri di iodio, come come la Svizzera e le Alpi francesi, dove, essendo la dieta  basata principalmente su prodotti agricoli poveri di iodio, l'incidenza del cretinismo era molto elevata.. I sintomi di tale  patologia si manifestano con un ritardo mentale e fisico, più o meno grave, sino al punto di precludere la capacità di comprendere la fede cristiana. Successivamente, la parola cretino, abbandonò l'accezione medica e finì per acquisire quella prettamente dispregiativa indicando persona stupida, scema, imbecille, deficiente, idiota...

Raffigurazione di persona affetta da "cretinismo"

GIOVANNI

Il nome "Giovanni" ha origine dal greco antico Ἰωάννης (Ioannes), che a sua volta deriva dall'ebraico יוֹחָנָן (Yohanan). Il nome Yohanan era molto diffuso tra gli Ebrei, soprattutto durante il periodo del Secondo Tempio a Gerusalemme. Esso è composto dalle parole יוֹהָנָן (Yahweh, il nome di Dio) e חָנַן (chanan) che significa "avere pietà", "essere misericordioso". Il nome Giovanni è stato portato da numerosi personaggi storici e religiosi nel corso dei secoli. Il più famoso tra di essi è certamente Giovanni Battista, il profeta che battezzò Gesù nel fiume Giordano. Nel Nuovo Testamento, il nome "Giovanni" viene menzionato anche come il nome dell'autore del Vangelo di Giovanni, uno dei quattro vangeli canonici che narrano la vita e gli insegnamenti di Gesù. Il nome Giovanni è stato molto popolare nella cultura cristiana, tanto che nel Medioevo veniva utilizzato come un vero e proprio appellativo per indicare una persona che aveva abbracciato la vita religiosa. Questo nome, inoltre, ha  avuto grande diffusione in varie parti del mondo e ha numerose varianti in diverse lingue. In Italia, secondo dati raccolti negli anni settanta, è stato il secondo nome per diffusione, preceduto solo da Giuseppe e seguito da Antonio. In Inghilterra divenne talmente comune che, nel tardo Medioevo, era portato da circa un quinto di tutti i maschi inglesi; nel XIV secolo rivaleggiava in popolarità con William, ed era utilizzato, al pari dell'italiano Tizio, come appellativo per indicare una persona qualunque. In Italia, il nome "Giovanni" è stato portato da numerose personalità importanti, sia del passato sia contemporanee, tra cui Giovanni Boccaccio, Giovanni Pascoli, Giovanni Verga, Giovanni Giolitti, Giovanni Leone, Giovanni Falcone e Giovanni Paolo II. Il nome è ancora molto comune in Italia e viene spesso abbreviato in "Giovannino", "Gianni"," Ianni", "Nanni", "Vanni", "Giò". Generalmente, l'onomastico si festeggia in memoria dei due santi maggiori a portare questo nome, Giovanni Battista e Giovanni apostolo ed evangelista; il primo è commemorato dai cattolici il 24 giugno e dagli ortodossi il 7 gennaio; il secondo è ricordato il 27 dicembre dai cattolici e l'8 maggio dagli ortodossi. Sono però moltissimi  (oltre trecento) i santi e i beati con questo nome.

Giovanni Falcone  (1939 -  1992)

ANARCHIA

La parola "anarchia" deriva dal greco antico "αναρχία" (anarkhia), composta da "an" (privativo) e "arkhos" (governante, capo, principe), che significa letteralmente "senza governo" o "assenza di autorità". L'anarchia è un'ideologia politica che sostiene l'eliminazione di ogni forma di autorità e di dominio, incluso lo Stato. Secondo i principi dell'anarchismo, la società deve essere organizzata in modo tale da permettere ai singoli individui di vivere liberi e in armonia tra loro, senza subire alcuna forma di oppressione. L'obiettivo principale dell'anarchismo è la creazione di una società libera ed egualitaria, in cui le persone sono in grado di governarsi da sole senza la necessità di un'autorità centrale. L'anarchismo si basa sull'idea che la libertà individuale sia la massima priorità, e che ogni forma di governo o di autorità rappresenti una minaccia alla libertà personale. L'anarchismo rifiuta anche l'idea di proprietà privata, sostenendo che la terra e le risorse naturali debbano essere condivise e utilizzate in modo equo da tutti. Esistono diverse correnti dell'anarchismo, tra cui l'anarchismo individualista, l'anarchismo socialista, l'anarco-sindacalismo, l'anarchismo ecologista e l'anarchismo femminista. Nonostante le differenze tra le varie correnti, tutte le forme di anarchismo hanno in comune la convinzione che la società debba essere organizzata in modo tale da permettere la massima libertà possibile ai singoli individui, senza l'ingerenza di autorità esterne. 

Per completare ulteriormente la descrizione dell'anarchismo, è importante menzionare alcuni dei principi e dei valori fondamentali su cui si basa questa ideologia:

Autogestione: l'anarchismo sostiene l'idea che la gestione delle attività sociali e produttive debba essere affidata ai singoli individui e alle comunità, piuttosto che a un'autorità centrale. L'idea è quella di creare una società in cui le persone siano in grado di gestire le proprie attività e le proprie risorse in modo autonomo, senza la necessità di un governo o di un'organizzazione centralizzata. 

Cooperazione: l'anarchismo promuove l'idea della cooperazione e della solidarietà tra i singoli individui e le comunità. L'obiettivo è quello di creare una società in cui le persone lavorano insieme per raggiungere obiettivi comuni, piuttosto che competere tra loro per il potere o le risorse.

Decentralizzazione: l'anarchismo sostiene l'idea della decentralizzazione del potere, in cui le decisioni politiche e sociali vengono prese a livello locale o comunitario, piuttosto che a livello nazionale o internazionale. L'obiettivo è quello di creare una società in cui i singoli individui e le comunità abbiano il potere di decidere autonomamente le proprie politiche e i propri comportamenti.

Anticapitalismo: l'anarchismo rifiuta l'idea del capitalismo come sistema economico, sostenendo che questo sistema favorisca la concentrazione del potere e delle risorse nelle mani di pochi individui o organizzazioni. L'obiettivo è quello di creare una società in cui le risorse e le attività economiche vengono gestite in modo equo e sostenibile.

Libertà individuale: l'anarchismo promuove l'idea della libertà individuale come valore fondamentale, sostenendo che ogni individuo debba essere libero di scegliere il proprio stile di vita e le proprie attività, senza l'ingerenza di un'autorità esterna.

La storia dei movimenti anarchici inizia nel XIX secolo, in Europa, come risposta alle ingiustizie sociali e all'oppressione dei governi dell'epoca. Il primo pensatore anarchico riconosciuto è Pierre-Joseph Proudhon, che nel 1840 pubblicò il libro "Che cos'è la proprietà?", in cui sosteneva l'idea che la proprietà privata fosse la causa principale delle ingiustizie sociali. Negli anni '70 del XIX secolo, l'anarchismo cominciò ad avere un ruolo importante nelle lotte operaie e sindacali, in particolare in Spagna e in Francia. Nel 1871, durante la Comune di Parigi, gli anarchici presero parte ai combattimenti contro il governo francese, e in seguito si unirono ai movimenti sociali e politici per la difesa dei diritti dei lavoratori. Negli anni '80 del XIX secolo, l'anarchismo si diffuse anche in America, dove i movimenti anarchici si unirono alle lotte contro lo sfruttamento dei lavoratori da parte delle grandi imprese industriali. In questo periodo, l'anarchismo si sviluppò anche in Russia, dove i movimenti anarchici sostennero la rivoluzione del 1905. Durante il XX secolo, l'anarchismo continuò a essere una forza importante nelle lotte sociali e politiche in tutto il mondo. Negli anni '20 e '30, gli anarchici si unirono alle lotte per la rivoluzione in Messico e in Spagna. In quest'ultimo paese, gli anarchici parteciparono attivamente alla Guerra civile spagnola, in cui sostennero la creazione di comunità autogestite e di organizzazioni sindacali indipendenti dallo Stato. Dopo la Seconda guerra mondiale, l'anarchismo subì una fase di declino, in parte a causa della crescita del comunismo e della distruzione delle organizzazioni anarchiche durante la guerra. Tuttavia, negli anni '60 e '70, l'anarchismo conobbe una rinascita, grazie alla partecipazione ai movimenti studenteschi e alle lotte contro la guerra in Vietnam. Negli anni '80 e '90, l'anarchismo si diffuse in tutto il mondo, in particolare in America Latina, dove i movimenti anarchici sostennero le lotte per la giustizia sociale e la democrazia. In Europa, l'anarchismo si unì alle lotte contro il neoliberismo e la globalizzazione, e sostenne la creazione di nuove forme di organizzazione sociale e politica basate sulla cooperazione e l'autogestione. Nel XXI secolo, l'anarchismo continua a essere una forza politica importante, in particolare nelle lotte per la difesa dell'ambiente, dei diritti dei migranti e della giustizia sociale. Gli anarchici si impegnano anche nella creazione di comunità autogestite e di organizzazioni che siano indipendenti dallo Stato e dal potere economico. Inoltre, l'anarchismo ha contribuito allo sviluppo di nuove forme di attivismo e di resistenza a volte nonviolenta, come le manifestazioni di Occupy e il movimento dei gilet gialli in Francia.

Pierre-Joseph Proudhon (1809 - 1865)

BECERO

L'etimologia della parola becero è alquanto incerta. L'ipotesi etimologica più plausibile è quella che individua nel termine dialettale fiorentino pècoro, (da cui beco) cioè persona rozza, volgare nei modi ma soprattutto nel parlare in modo triviale e insolente. Un'altra ipotesi, forse meno plausibile, individuerebbe le origini del termine becero nella parola latina vocilāre o vociare cioè tenere un comportamento chiassoso, parlando, a voce alta, troppo e male degli altri. Sinonimi di becero: rozzo, volgare incivile, maleducato, , scortese, sgarbato, sguaiato, villano, zotico etc...

Frasi celebri con la parola becero:

"L’interesse non è che la chiave delle azioni becere". (Honoré de Balzac)

"Le persone becere sono sempre disposte a insozzare qualsiasi sentimento, anche il più nobile, proprio perché sono incapaci di concepirlo". (Oscar Wilde)

"Il bisogno di aver ragione: segno di spirito becero". (Albert Camus)

"È una cosa di cattivo gusto, comandare, e spiacevolissima. Perché pone a contatto coi beceri e con gli ottusi, costringe a esercitare la volgarità del potere, limita la libertà sia di chi comanda che di chi è comandato, infine inebria i presuntuosi.“ (Oriana Fallaci)

MATTINO - MATTINA - MATTINATA

L'etimologia dei sinonimi mattino, mattina e mattinata si riallaccia al latino (tempus) matutinus cioè (tempo) del mattino, (hora) matutīna cioè (ora) del mattino. La parola  latina "matutīna" si riferiva a Matuta, dea romana associata all'alba e al primo mattino. Nella mitologia romana, Mater Matuta (in italiano Madre Propizia) era la dea del Mattino o dell'Aurora e, quindi, protettrice della nascita degli uomini e delle cose. Più tardi fu associata alla dea greca Eos, meglio nota come Aurora. A sua volta, l'etimologia del nome Matuta, alquanto incerta, potrebbe derivare dall'indoeuropeo "mā-tu-to‑", cioè mattiniero, mattino, oppure da "mā-tu-ro‑" cioè maturo, pronto per il raccolto. Per questi motivi, le parole (hora) matutina o (tempus) matutino furono utilizzate per descrivere l'arco della giornata durante il quale Matuta era venerata. Nel corso del tempo, il significato di "matutinus" si è evoluto per includere non solo il momento in cui si venerava la dea, ma anche, più genericamente, il periodo di tempo compreso tra la mezzanotte e il mezzogiorno. In italiano, "mattinata" è diventato un termine comune per descrivere questa prima parte della giornata quando il sole sorge e il giorno inizia a prendere forma. Infatti, nel corso dei secoli, il termine "matutīna" è diventato "mattina". Oltre al significato temporale e simbolico, la parola "mattina" ha anche un significato emotivo e psicologico: essa è spesso associata a un momento di nuovo inizio, di freschezza e di energia. Per molte persone, la mattina rappresenta un momento di riflessione, di meditazione e di concentrazione, prima di affrontare le attività quotidiane. 


Statuina della Mater Matuta (II secolo a.C.)
(fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Mater_Matuta)